Di Duilio Scalici
Oggi voglio parlare di due registi straordinari, visionari, e soprattutto fieramente figli di questa terra che è la mia, la nostra: Ciprì e Maresco.
Palermitano di nascita, però, non li ho conosciuti subito, ma solo quando avevo circa 17 anni. E la storia, vi assicuro, è davvero curiosa.
Era il 2012, mio fratello, grande appassionato di street photography, stava già esplorando questo mondo con un profilo su Flickr, dove pubblicava le sue immagini spesso in bianco e nero. Un giorno, durante una passeggiata in via Roma a Palermo, scatta una foto che avrebbe cambiato, in qualche modo, il corso della nostra storia. Un uomo, fermo di fronte a una vetrina, si stagliava in una posa bizzarra, come se fosse lui stesso uno dei manichini esposti. Eppure, sembrava che avesse trovato il modo di scappare da quella gabbia silenziosa, diventando improvvisamente parte del gioco surreale di quella vetrina. La foto mi colpì profondamente. L’immagine, per quanto insolita, mi suscitava sensazioni di un altro tempo, e con la spontaneità di chi sente la realtà dilatarsi, dissi a mio fratello che mi ricordava un immaginario pirandelliano.
Lui, con lo sguardo curioso e l’entusiasmo di chi ha appena scovato un tesoro nascosto, pubblicò l’immagine. E fu lì che, tra i commenti, scoprimmo qualcosa di incredibile: quel volto bizzarro, quell’uomo strano che sembrava uscito da un altro mondo, era Pietro Giordano, uno dei personaggi più iconici di Cinico TV e dei film di Ciprì e Maresco.
Fu così che iniziammo una ricerca affannosa, scoprendo titoli come Totò che visse due volte, Il ritorno di Cagliostro, Lo zio di Brooklyn, e varie scenette che popolavano quel mondo assurdo su YouTube. Ed è lì che ci ritrovammo, senza preavviso, catapultati in un universo che, pur apparendo apocalittico, parlava un linguaggio sorprendentemente realistico. Ogni fotogramma, ogni scena, pareva uscita da una dimensione parallela, una Palermo di plastica, consumata eppure viva, incredibile nella sua bruttezza. La fotografia in bianco e nero, talvolta impeccabile, arricchiva ulteriormente l’assurdità di quell’universo. Come nel caso di Il ritorno di Cagliostro, che vede tra gli altri la partecipazione di Robert Englund, noto per il suo ruolo iconico di Freddy Krueger. Un incrocio di realtà e finzione, politica, satira, e blasfemia, dove il disagio diveniva arte.
Un mondo così brutto da risultare, per assurdo, bellissimo. E come palermitani, che camminano per le strade di una città che sembra inghiottire tutto e tutti, riuscivamo a leggere tra le righe e ad apprezzare la critica sociale che si nascondeva dietro quella finzione. Un cinema che, come la terra da cui proviene, o lo ami o lo odi. Non ci sono vie di mezzo, e forse è proprio questo il suo fascino. Bisogna accogliere senza pregiudizi, senza schemi, per poterlo capire fino in fondo.
Da quel momento, mio fratello ed io siamo diventati fedelissimi ammiratori di Ciprì e Maresco, che oggi continuano a camminare ognuno con la propria strada. E anche da soli, riescono a realizzare pellicole straordinarie come nel caso di Belluscone e La mafia non è più quella di una volta di Maresco, o È stato il figlio di Ciprì, solo per citarne alcune. Ma non solo. Ciprì ad esempio ha firmato anche la fotografia di un numero incredibile di film, portando la sua visione unica su pellicole di altri registi.
Purtroppo, nel 2017, Pietro Giordano, il nostro “manichino fuggito”, si è spento. Un personaggio che non dimenticheremo mai, intrappolato in quella realtà surreale e bizzarra che sembrava avvolgerlo come una seconda pelle. La sua immagine, immortalata in uno scatto casuale, pareva quasi uscire direttamente da uno dei film che sembravano vivere nella sua carne. E in quel momento, anche senza conoscerlo, sentivamo di far parte di quella sua follia poetica, di quel sogno e di quella realtà stravolta, proprio come la sua immagine davanti alla vetrina.

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Foto di copertina di Giorgio S. Scalici