Di Duilio Scalici
Se torno indietro nel tempo, la mente mi riporta all’era di Blockbuster. Giorni interi trascorsi nel negozio di viale Strasburgo a Palermo, spesso con mia madre, anche lei appassionata di cinema. Ero un ragazzo, la vita leggera, con piccoli problemi adolescenziali. Ogni settimana avevamo un appuntamento fisso per scegliere insieme i film da guardare a casa, immersi nel calore della nostra routine familiare.
Un giorno, mi ricordo bene, notai un titolo che mi colpì senza motivo: Inland Empire, l’impero della mente di David Lynch. Chiesi a mia madre se lo conoscesse, e con una certa cautela mi disse che era un regista impegnato, ma che forse quel film non era adatto alla mia età. Nonostante l’avvertimento, decisi di noleggiarlo.
Alla cassa, Alessio, il commesso con cui, nonostante la differenza d’età, condividevo la passione per il cinema, mi guardò sorpreso per la mia scelta. Parlare di film d’autore con lui era sempre un piacere, un piacere che non riuscivo a condividere con i miei coetanei, distratti da altri interessi. Alessio, curioso, mi lanciò un sorriso complice, come se anche lui fosse parte della mia piccola avventura cinematografica.
Tornati a casa con la nostra vecchia Opel Zafira, non vedevo l’ora che calasse la sera per iniziare la visione. Appena il film cominciò, una cascata di immagini surreali e oniriche mi rapì. Era il primo incontro con quello che sarebbe diventato il mio regista del cuore. Finito il film, ancora confuso, mi chiesi cosa volesse dire, ma sapevo che non importava: era una forza visiva straordinaria, bastava questo.
Mio padre, che aveva un interesse più distaccato per il cinema, seduto su un cuscino e lamentandosi del divano, si alzò e disse che, secondo lui, il film non aveva un senso preciso, ma che ognuno poteva interpretarlo come voleva. Non potendo resistere, cercai su internet e, a quanto pare, aveva ragione. Mia madre ed io ci guardammo e scoppiammo in una risata. Quel ricordo del mio primo incontro con Lynch è per me l’emblema del mio percorso da cinefilo, un legame che ancora oggi considero fondamentale nella mia vita.
La settimana successiva, quando riportai il DVD e ne presi altri di Lynch, Alessio capì che quel regista aveva preso piede nel mio cuore. Lynch era diventato una delle mie ossessioni. La sua recente scomparsa, un evento che ancora oggi mi lascia senza parole, ha lasciato una ferita profonda nel mio cuore, come quella di un maestro che non potrà più guidarmi nei suoi labirinti cinematografici.
Questo dolce ricordo, però, porta con sé una lieve malinconia. Prima di Lynch, scomparve anche Blockbuster, e con esso quel piccolo rituale che per noi era un piacere: vagare tra gli scaffali, scegliere insieme i film, scoprire titoli nascosti, condividere una serata a casa. Con l’avvento dello streaming, tutto è diventato più rapido e accessibile, ma anche più distante. Le interazioni che una volta nascevano tra le corsie del negozio sembrano ora sostituite da esperienze più fredde e “virtuali”. Eppure, ogni tanto, un ricordo di quei momenti resta, a ricordarmi che la bellezza delle cose risiedeva anche nei piccoli gesti condivisi.

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Foto di copertina di Duilio Scalici