Il bacio della rondine

Di Cristi Marcì

I tuoi occhi si posano sui i miei.
Brillano come la luna e profumano di antico, mentre il mio sguardo sonda timidamente crateri acquosi pronti ad evaporare come sogni inafferrabili.
Intorno a noi tutto si dissolve come un pulviscolo di stelle, il silenzio diviene più fitto e i nostri corpi, all’apparenza immobili, ruotano attorno galassie lontane.
Sotto un velo di pelle avverto soltanto un cuore sconosciuto battere a più non posso e invano provare in tutti i modi ad anteporre la ragione all’istinto.
Ma non c’è verso di svelare il mito invisibile che, unendoci, disegna nel cielo una geometria di stelle cadenti.
Siamo qui, tu ed io.
Al riparo di una stanza illuminata da una luce primaverile.
I colloqui segnati in agenda sono giunti al loro crepuscolo, alcuni hanno piantato le proprie radici affinché nuove parole inizino a germogliare pian piano, altre invece attendono silenti il verbo dell’alba.
Dopo aver bussato non hai atteso alcun permesso per entrare.
Hai camminato verso la mia figura inerme e schiava di una rigida postura, rendendola piccola di fronte a qualcosa di immenso, sconvolgente e che i miei occhi non sono stati capaci di catturare nella sua interezza.
Al tuo cospetto mi era difficile volare altrove, i tuoi occhi erano l’unico nido verso cui fare ritorno: nonostante i nostri caratteri diversi custodissero un comune denominatore che solo io e te sentivamo e sentiamo tutt’ora connessi.
I tuoi occhi si fanno sempre più duri, scuri e irraggiungibili.
Eppure sento che l’alito della tua anima freme per uscire.
Il nostro silenzio diviene il nostro intimo dialogo mentre gesti impercettibili prendono vita dalle tue scapole per poi manifestarsi con più coraggio lungo la tua mano sinistra.
Assomiglia a una rondine pronta a volare per la prima volta mentre lo spazio che ci separa assume i contorni di un altrove infinito.
Mi guardi ancora come a implorarmi di bloccare ogni tuo gesto ma proprio non ci riesco, perché la mia immobilità è la tua condanna: il nostro silenzio un nettare dal quale succhiare avidamente tutta l’invisibile dolcezza.
Senza accorgermene la tua mano mi accarezza la guancia cospargendo di stupore quello che il mio corpo stenta a credere di poter ancora vivere.
Con solenne lentezza il tuo volto si accosta al mio.
Fiuto la tua paura, sento un desiderio taciuto da sempre e racchiuso in ogni anfratto del nostro essere.
Mi guardi ancora, un’ultima volta finché le tue labbra non si posano sulle mie.
Tutto attorno a noi si ferma, diventa infinitamente lento e presente.
Non osando aprire gli occhi, lascio che il battito dei nostri respiri restituisca la vita a qualcosa di eterno e la cui forma è finalmente pronta a perdersi lontano.

*

Immagine: Édouard Manet, Rondini, 1873.


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