Ultima tacca

Di Cristi Marcì

Qui dentro non c’è più spazio per tutte le informazioni che a qualsiasi ora del giorno mi costringono a salvare e di cui farei volentieri a meno.

È tutto un guazzabuglio di foto, documenti e segreti che sgomitano per trovare un posto tra un file appena cestinato e un altro da poco nascosto per non essere scoperto da occhi indiscreti. 

La gente là fuori pensa che sia facile mandare e ricevere messaggi, copiare link da siti diversi, creare cartelle e accedere contemporaneamente a più applicazioni ancor prima di chiudere quella in uso.

Per non parlare di quando mi tocca sollevare le palpebre per catturare l’idiozia dipinta su volti mai visti prima e ignari del momento che stanno realmente vivendo, nominare il contenuto di quello che mi hanno appena obbligato a filmare per poi schiaffare l’ennesimo selfie mal riuscito su piattaforme dai nomi strani e impronunciabili.

Ormai è diventato tutto un “fai questo, salva quello, manda quest’altro a Tizio e rispondi al più presto a Caio… e Sempronio?” e via con un’altra stupida call.

Vi confesso che a volte mi sento un perfetto automa, eppure all’inizio credevo di essere all’altezza del compito per il quale ero stato messo al mondo.

Tuttavia non è facile come sembra.

Un tempo il nostro cuore fatto di microchip e altri materiali provenienti da ogni parte del mondo veniva spento a fine giornata, adesso invece deve restare all’erta tutta la notte a pompare informazioni al ritmo di quel maledetto 5G e col perenne terrore di ricevere stupide notifiche da galassie virtuali alle quali devo inviare a qualsiasi ora del giorno, inclusi i festivi, tracce di vita che la gente imprigiona dietro a degli stupidi simboli.

Ultimamente vorrei poter non sentire più quelle frenetiche dita scivolare lungo il mio corpo, figuriamoci poi sentire scomodi cavi di ogni dimensione e materiale insinuarsi nei miei ingressi più reconditi senza neanche il mio consenso.

Gli esseri umani pensano sia facile essere uno smartphone ma non lo è, perché anche il più semplice guasto equivale in men che non si dica a una morte certa e immediata.

Ogni umana lamentela si trasforma subito in un frustrante senso di colpa di fronte al quale dobbiamo mostrare la nostra massima efficienza.

Ma se a volte non funzioniamo è solo per colpa dell’uomo, l’unica stupida creatura ad averci messo al mondo per riflettere esclusivamente le sue ataviche e limitate mancanze.

Ogni giorno vedo tanti volti prodigarsi in numerose smorfie che anziché svelarle nascondono soltanto le emozioni.

Ma io sono soltanto un cellulare e questa era la mia ultima notifica.

La vita oltre questo schermo è pura finzione.

E prima o poi non rimarrà che una semplice tacca.

*

Immagine: Umberto Boccioni, La città che sale, 1910-11.


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