La volta stellata dei ricordi

Di Cristi Marcì

Ad occhi chiusi scorgo una distesa di infinite occasioni variopinte le quali, al pari dei miei tristi girasoli chinati dinanzi questa attuale oscurità, custodiscono gelosamente ricordi dai colori sbiaditi.

Le stesse tonalità che col passare degli anni hanno conferito un valore sconosciuto al mio modo di sentire: innamorato come ero dell’arte e della sua logica inafferrabile.

Sarò per sempre marchiato da uno stupido maleficio, da un orrendo sortilegio orchestrato dalla bocca di pochi ma dalla stupidità dei molti.

Da quella culla di parole e giudizi che sulle labbra di troppi uomini hanno fatto di me un fenomeno da imprigionare in una futile etichetta.

Vero e proprio labirinto dove la fantasia e i miei sogni sono stati imbrigliati come pesci in una rete di pescatori pronti a smerciare il mio talento per un pezzo di carta impregnato di crimini e storie ormai lontane.

La mia unica sventura è stata proprio quella di fare del mondo in cui vivevo la culla dove lasciar partorire le mie immagini e le mie sfumature, consentendo alla luce del giorno e al bacio della notte di irradiare la mia anima; cosicché potesse assumere le forme di un fiore, di un campo o ancor più di un cielo stellato.

In una infinita giostra chimica la cui evanescenza cedeva il posto ad una trasformazione alchemica pronta a riflettersi sulla retina di un viaggiatore in cerca di mete sconosciute.

Non sono mai stato bravo con le parole, semplicemente perché la mia lingua segreta e taciturna non voleva essere ghermita da un linguaggio sciatto, deplorevole e finanche troppo comune per poi essere data in pasto alla costante svalutazione.

I critici dell’arte hanno reso sorde le mie orecchie e fatto sì che il mio cuore leggero assumesse la durezza di una pietra in grado di far tracimare tutta la sua intrinseca essenza: deturpando il nucleo di quella pura autenticità ormai contaminata da quella volgare e odierna cultura che sovente mi allontana dal vero.

Da quel fuoco che tuttavia ha continuato a divampare lungo le mie dita, tracciando distese di campi e tulipani che solo la solitudine è riuscita a tramutare in fiorente pazzia.

Quella che ogni giorno rendeva la mia indissolubile magnificenza uno splendente castigo da vomitare su quel bianco tessuto che aspettava il mio intimo grido.

Testimonianza di un profondo e invisibile dolore che nella sua totale incertezza ha reso la mia arte per tanti anni sconosciuta, trascurata e rievocata con sonori insulti.

Puntualmente prostrata in maniera devota al cospetto di mercanti, principi e padroni del mondo pronti a trattarla da puttana.

Perché se proprio devo dirla tutta non è forse della mia follia che i lor signori avevano bisogno per sentire l’ultima vibrazione nei loro cuori corrotti?

*

Immagine: Vincent Van Gogh, Notte stellata, 1889.


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