The Queen Is Dead

Di Donato Novellini

L’estetica, nel caso di una band di fondamentale importanza come gli Smiths, è sempre stata curata con massima attenzione, finendo per imporsi quale codice comunicativo riconoscibile, unico, indissolubilmente legato ai contenuti musicali e alla ragione sociale. Trattando qui di copertine, dell’impacchettamento estetico dei vinili, risulta affascinante ripercorrere il caratteristico stile grafico adottato dalla band di Manchester, a quanto pare tutta farina del sacco di Morrissey, com’è ovvio cantante e scrittore dei testi, grande appassionato di cinema e letteratura, carismatico, istrionico pur muovendo da posizioni di fragilità, introspezione, amara ironia, romanticismo esistenziale rivendicato proprio nei cinici anni ‘80 inglesi. Resta fatto che tutte quelle inconfondibili copertine – pure quelle dei singoli – sovente curate graficamente da Jo Slee, rappresentano un’unica narrazione identitaria (quasi feticistica), avversa allo star-system imperante dell’epoca, inglese fino in fondo ma con una sottile influenza pigliata dalla pop-art di Andy Warhol, ben evidente nella gestione “seriale” dei soggetti prescelti e nell’alterazione cromatica. Tuttavia il profondo legame con la cultura britannica rende la proposta formale del quartetto assai lontana dalla retorica pubblicitaria, in fondo ridondante, a stelle & strisce, conferendo anche alle celebrità più note – ad esempio Elvis Presley (Shoplifters of the world unite), Joe Dallesandro (The smiths), Truman Capote (The boy with the thorn in his side) o Candy Darling (Sheila take a bow) – una straniante dimensione nostalgica, o forse meglio atemporale, da poster in cameretta. C’è qualcosa di reazionario – paradossalmente, vista l’avversione di Morrissey e soci per la Corona e per l’allora Primo Ministro Margareth Tatcher (infatti il disco in questione avrebbe dovuto intitolarsi Margaret on the guillotine) – nella proposta formale degli Smiths, qualcosa che si fa testimonianza ed eredità formale dell’Albione scomparsa, quella della Swinging London e delle sottoculture dei primi anni ‘60, proletarie ma al tempo stesso eleganti e sognatrici. Tutte le copertine, come le musiche suonate senza tanti effetti speciali, si discostano nettamente dal futurismo artificioso e sintetico degli anni ’80, rievocando semmai un immaginario desueto e controcorrente, in qualche modo riesumando lo spirito del rock and roll rieducato dal post-punk. Altra caratteristica fondamentale delle cover è l’utilizzo della bicromia, processo di riproduzione grafica  che imprime, assieme al tipico font smithsiano, quel tocco in qualche modo fané, immaginario per certi versi connesso alle pellicole di Ken Loach, snob e popolare, aristocratico e ribelle al tempo stesso. The Queen Is Dead resta il miglior disco per approcciarsi agli Smiths, principalmente per la sua classicità, essendo qui contenute alcune gemme senza tempo: “Bigmouth strikes again”, “Some girls are bigger than others” e “The boy with the thorn in his side”. La scelta della cover-star ricadde nientemeno sull’attore francese Alain Delon, ritratto sdraiato con occhi sbarrati e mani sul petto in una posa quasi assente, morente, da martire medievale. Il fotogramma virato verde scuro, effetto carta di giornale, risulta sgranato, mentre nome della band e titolo dell’album, nella parte sovrastante, sono di un sorprendente color rosa. L’immagine è tratta dal misconosciuto film Il ribelle di Algeri (L’Insoumis), del 1964. Sul retro di copertina null’altro che i titoli delle canzoni impilati in verticale, sempre rosa su verde. All’interno, nella prima stampa gatefold made in UK, compaiono i testi e una foto in bianco e nero del gruppo, immortalato dinnanzi al Salford Lads Club di Manchester dal fido Stephen Wright. La copertina fu decisamente scioccante, nel 1986, giacché l’effetto del chiaroscuro sulla sagoma che emerge dall’oscurità, crea un certo senso di solenne drammaticità. L’illuminazione “simbolista” puntata sulla figura evoca inquietudine e isolamento, ma va detto il tutto risulta chiaramente ammantato da un velo di sarcasmo macabro, di iconoclastia d’ascendenza punk.

The Queen Is Dead – The Smitsh, Rough Trade Records,1986


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