Ovations

Di Donato Novellini

La ventennale carriera (1997-2017) dei Piano Magic, ricca di episodi eccelsi – Disaffected, Artists’ Rifles, The Troubled Sleep of Piano Magic su tutti – quanto ahinoi relegata nelle amnesie più imperdonabili o alla meno peggio nel culto adorante di una ristretta cerchia di fedeli seguaci, meriterebbe una compiuta rivalutazione, quantomeno per misurarne a distanza la peculiare evoluzione stilistica. Il successo che non giunse quale beffardo ed immeritato destino indusse il capo-vascello Glen Johnson a sciogliere il sodalizio dai magici ormeggi; epilogo coincidente con l’ultimo atto, prosaicamente titolato Closure. Peccato, perché la ricerca musicale degli inglesi, tra atmosfere post-rock, estetizzanti decadenze wave, dream-pop messo in vitro e neoclassicismi elettrizzati, permise di riassaporare i fasti della gloriosa label 4AD senza per altro il fastidio passatista della pedissequa replica nostalgica. A voler indicare un momento preciso di cortocircuito tra passato e presente nulla meglio di Ovations, albo che riesce a farsi manifesto stilistico del nuovo gotico albionico anche grazie all’inconfondibile contributo vocale di Brendan Perry e alle percussioni di Peter Ulrich, direttamente riemersi dalla bruma Dead Can Dance. Disco spettrale, romantico con nuance esotica orientale, fortemente percussivo e tuttavia elegantemente poetico, s’aggira come in preda a sonnambulismo tra plumbee lande Clan of Xymox e grovigli espressionisti Cindytalk. Ovvio che dinnanzi a contenuti siffatti, coerentemente pure l’aspetto esteriore del cd si distingue per evocativa raffinatezza; grafica a cura dello stesso Glen Johnson e di Jeff Teader (Oskar Design). Qui è d’obbligo scomodare il surrealismo pittorico di René Magritte (si riveda il quadro Gli amanti, col famoso bacio bendato), quale fonte d’ispirazione piuttosto esplicita per l’onirica copertina, invero una delle più apprezzate dall’inizio del nuovo secolo. Si tratta infatti della rappresentazione figurativa di un abbraccio “a perdere”, sentimento aleatorio che si perde nella tenebra, sorta di cartolina amorosa di lugubri tempi andati. Fissità di un gesto d’affetto e di complicità che inquieta, proprio a causa della controparte mancante: l’elegante ed impomatato uomo di schiena – dallo stile si presume primi del ‘900 – è cinto alle spalle da inanellate mani femminili, senza che della dama si riesca a scorgere altro. Specularmente, come in una doppia illusione, pure dell’uomo in primo piano non è dato cogliere il volto, tanto meno la reciprocità di un sguardo impossibile. La tecnica grafica di simulazione pittorica permette di apprezzare appieno tutta l’enigmaticità dell’assenza, la vacuità di una posa immaginaria, addirittura d’ipotizzare un macabro patto di coppia ignoto agli altri. Non si tratta infatti di un gioco di chiaroscuro prospettico, di una velatura cromatica naturale, seppure nella rappresentazione iconografica di un ballo di coppia. No, dell’ipotetica consorte in ombra restano visibili solo le braccia, poiché tutto il resto della figura è volutamente cancellato. Il lettore non vede l’uomo, in quanto di spalle, il quale a sua volta non vede chi gli sta di fronte. Un quadro o meglio un “post-dipinto” a tutti gli effetti, felicemente non deturpato da scritte, titoli, nomi e altri dettagli inutili. Ecco quindi che, oltre al manierismo straniante del pittore belga, s’aggiungono altri riferimenti, forse letterari (William Wordsworth, Thomas de Quincey, John Keats) certamente poetici, indubbiamente metafisici. Immagine evocante melodrammi amorosi che si fanno dimenticanze, fughe, oblio. Di chi si è assentato non restano che la cupa informità del buio fagocitante e la parure dei ricordi. Malinconici struggimenti, epistolari sbiaditi, perdite affettive, riverberi di memorie ingiallite, ma un po’ come l’immagine qui indagata, mai stucchevoli, piuttosto spiazzanti, allegorici, intriganti e con qualche suggestione psicanalitica. Si tratta di quella sottile sfumatura che differenzia l’evanescenza tutto sommato indulgente dell’uggia dal certo responso della tristezza. Musica per fantasmi, ebbero a definirla gli stessi protagonisti del disco, ribadendo quell’indole oscura e sognante di tradizione inglese. Effettivamente una giornata di pioggia la si contempla sempre in modo diverso, in base a latitudini, stagioni, pretese, desideri, esigenze, ombrelli. Molto, nel saperla apprezzare, può dipendere dalla colonna sonora: questa è quella giusta.

Ovations – Piano Magic, MMM, 2009.


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