20 Jazz Funk Greats

Di Donato Novellini

L’uscita fuori porta della combriccola, una tranquilla scampagnata tra buoni amici nel sud dell’Inghilterra, il classico Range Rover parcheggiato sul prato verde, un’ipotesi di bucolico picnic in prossimità delle bianche scogliere di Dover. Strano, davvero strano da parte di una band che si fece notare per l’atteggiamento fortemente disturbante e oltranzista, optare per una foto di copertina talmente rassicurante e stucchevole da sembrare fasulla, cartolinesca, agiografica. Apoteosi dei cliché borghesi di fine anni ’70, ma con qualche ragionevole sospetto implicito. Infatti lo scatto scelto per il loro disco forse più accessibile – 20 Jazz Funk Greats, già il titolo è fuorviante se non letto con ironia, visto che di Jazz e di Funky qui non v’è traccia – non è altro che un rebus, con citazioni artistiche davvero curiose. I Throbbing Griste, padri fondatori del genere Industrial, appartengono a un’epoca in cui era lecito l’illecito e osabile l’inosabile, a patto d’aver gusto per la sfida. Agitatori avanguardisti post-Fluxus, radicali rumoristi, provocatori in mimetica paramilitare e cultori degli estremismi fetish e s/m, i quattro londinesi sono vieppiù riconoscibili sugli scaffali dei negozi di dischi per le copertine sordide e alienanti: campi di concentramento, fabbriche abbandonate, ciminiere fuligginose, simbologie controverse, codici comunque sempre destabilizzanti per l’ascoltatore medio. In questo caso, a favore della svolta elettro-pop, s’ingegnarono a parodiare l’immaginario soave e un po’ ebete dell’easy listenig, decisamente ameno se non fosse per la minigonna e calzini bianchi con tacco di Cosey Fanni Tutti (in uno scatto non pubblicato delle session, ella mostra bellamente le natiche). Primo subdolo indizio di un enigma degno delle migliori elucubrazioni del commissario Maigret. Tant’è che la posa dei quattro, immortalati nel contesto campestre di Beachy Head (località battezzata dalle statistiche funebri come il promontorio dei suicidi), può definirsi un perfetto détournement, oltre che un’autocensura preventiva, perfettamente studiata a tavolino. La fotografia originale, talvolta visibile integralmente in bianco e nero nelle ristampe, mostra infatti la chiave per decifrare l’arcano: il corpo senza vesti di una donna, certamente morta, giace a terra sul luogo del delitto, sottostante alle sorridenti espressioni dei serafici protagonisti. Ecco quindi che pure la jeep, dapprima sullo sfondo e poi in primo piano nei riferimenti interni, appare assai meno tranquillizzante rispetto all’utilizzo consueto immaginato all’inizio. Ebbene, non si tratta più di amena escursione o innocuo picnic, bensì macabra faccenda da sbrigare. Il caso sembra chiuso, con tutta evidenza trattasi di estemporanea missione per occultare un cadavere, oppure l’inconveniente di un ritrovamento casuale, ma è assai meno plausibile, quantomeno osservando le espressioni compiaciute e complici dei soggetti in posa. Tuttavia, proprio nel momento in cui la vicenda pare dirsi derubricata nella consegna del fascicolo alla squadra omicidi, emerge un riferimento subliminale, sorta di rimando artistico e associazione mentale, un dettaglio buttato lì con apparente noncuranza. L’Étant donnés, installazione di Marcel Duchamp – una vecchia porta in legno, con spioncino oltre il quale s’apre la visione estatica della pubica nudità femminile senza volto, la medesima presenza/assenza immortalata sulla copertina del disco – ingarbuglia ulteriormente la scena: delitto, contemplazione o citazione? Omicidio o suicidio? Proprio quando si resta in sospeso, senza una risposta certa, è il caso di citare la parola Arte.

20 Jazz Funk Greats – Throbbing Gristle, Industrial Records, 1979.


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