Yngwie Malmsteen nasce a Stoccolma il 30 giugno 1963 sotto il segno del Cancro. A 7 anni vede Jimi Hendrix bruciare una chitarra in TV e decide che farà anche lui il chitarrista. Ma invece di limitarsi ad imparare “Wild Thing”, Yngwie vuole suonare velocissimo. Nel 1984 pubblica Rising Force, disco d’esordio solista che fonde Bach, Paganini e Marshall a palla, creando un genere tutto suo: lo shred neoclassico, dove shred sta per velocità, precisione e abilità tecnica, un ibrido mostruoso che unisce con naturalità musica classica e heavy metal. La sua tecnica è qualcosa tra lo sport estremo e l’archeologia musicale: sweep picking (pennata scorrevole), alternate picking, arpeggi su tre ottave, scale minori armoniche e melodiche buttate lì come se fosse una passeggiata, il tutto a una velocità che il metronomo si rifiuta di segnare per protesta. Ogni assolo è un trattato di teoria musicale barocca sparato con un lanciafiamme. Ha preso il fraseggio violinistico e l’ha trapiantato sulla chitarra elettrica, facendo impallidire sia chitarristi metal che docenti di conservatorio. È uno di quei pochi esseri umani che riescono a rendere una Fender Stratocaster – rigorosamente bianca, con tastiera scalloped (scavata) e pick-up DiMarzio – uno strumento di guerra sinfonica. E mentre suona, mica suda come i comuni mortali: si limita a inclinare la testa all’indietro, chiudere gli occhi, e lasciare che flussi di note escano come se stesse recitando il rosario a 300 BPM. Dunque, tecnica mostruosa, suono inconfondibile, ego megagalattico: Malmsteen non suona la chitarra, la usa come pista di Formula 1, e ci si chiede come le sue dita non si siano ancora incendiate.

*
Disegni di Maurizio Di Bona, testi di Stefano Scrima