Superare una rottura con Catullo e De André

A ritmo di musica o di (non) mos maiorum

Di Silvia Argento

Per quanto gli amori felici siano una tematica molto presente tanto in letteratura quanto in musica, nell’arte nulla ci affascina come la sofferenza. Un amore infelice, una rottura, la separazione, tematiche che vengono affrontate spesso nell’arte. In letteratura e musica si sprecano i testi dedicati a questo tema, perché, diciamocelo, una rottura vende molto di più della bella storia d’amore dove tutto è perfetto. Due esempi potrebbero essere autori molto diversi tra loro, ma comunque affascinanti: Catullo e Fabrizio De André.

Quei giorni perduti a rincorrere il vento
a chiederci un bacio e volerne altri cento
un giorno qualunque li ricorderai
amore che fuggi da me tornerai. 

F. De André, Amore che vieni amore che vai

Il Liber di Catullo è una raccolta di carmina. I carmina sono, per spiegarlo in modo molto semplice, delle poesie, in questo caso quelle del poeta hanno soprattutto come tema l’amore, trattato non in maniera epica o eroica, bensì nel modo più semplice possibile sul piano della struttura e delle vicende narrate. Ad eccezione dei così detti carmina docta, infatti, il Liber catulliano è caratterizzato da componimenti sulla vita quotidiana. La prima parte del Liber viene addirittura chiamata nugae, ovvero “sciocchezze” (termine già usato dal commediografo Plauto), proprio per indicare la semplicità che caratterizza l’opera.

Tale ricerca di semplicità, che con Catullo raggiunge il massimo splendore, accomuna i poeti romani all’inizio del I secondo a.C., così detti neoteroi o poetae novi, che operano una vera e propria rivoluzione letteraria: mettendo da parte la letteratura più dotta, ispirandosi a poeti di età Alessandrina come Callimaco, vogliono trattare temi più quotidiani (le nugae di cui sopra), individuali (infatti c’è sempre un dramma personale dietro i loro componimenti ed un io lirico ben definito) e non mitici o epici e con maggiore brevitas. Si distaccano, quindi, dal Mos maiorum e dalla poesia tradizionale. Non per questo, tuttavia, si tratta di poeti di serie B (come invece li concepirà Cicerone), verranno infatti definiti docti per le loro grandi conoscenze accademiche. Chiaramente da alcuni saranno invece giudicati male per il loro distacco dalla tradizione.

Miser Catulle, desinas ineptire,
Et quod vides perisse perditum ducas.
Fulsere quondam candidi tibi soles,
Cum uentitabas quo puella ducebat
Amata nobis quantum amabitur nulla.
Ibi illa multa cum iocosa fiebant,
Quae tu uolebas nec puella nolebat.
Fulsere uere candidi tibi soles.

(Disperato Catullo, falla finita con le tue follie;
ciò che vedi perduto, come perduto consideralo.
Brillarono un tempo per te giornate radiose,
quando sovente venivi agli incontri che la ragazza fissava,
quella che abbiamo amata come nessun’altra ameremo).

Carme 8

Il carme 8 di Catullo è, come dice lo stesso nome, l’ottavo carme del Liber catulliano. Fa parte della sezione delle nugae che ha tematiche per lo più quotidiane, in particolar modo amorose. Catullo, come sappiamo, costruisce un io lirico che non corrisponde alla realtà della sua vita, bensì è una finzione letteraria (che non manca di attingere alla vita vera, sicuramente). Pertanto racconta di una travagliata storia d’amore con Lesbia che lo logora e ferisce. In particolare, nel carme 8 Catullo è giunto alla consapevolezza che questa storia dovrà finire. Nella prima parte del carme Catullo si rivolge a se stesso, cercando di farsi forza e di accettare la situazione. Nella seconda parte rivolge una serie di domande retoriche a Lesbia.

Chi adesso ti verrà a cercare? Chi ti troverà carina?
Con chi farai oggi l’amore? A chi dirai: «Sono tua»?
A chi darai i tuoi baci? A chi morderai le labbra?

Carme 8

L’amore, che in altri carmina è momento idilliaco di ideale illusione, qui diventa momento di consapevolezza e disillusione. Questo è un attimo di totale razionalità da parte dell’io lirico, consapevole di ciò che ha perso, ma anche di dover andare avanti. Il carme ha volutamente una struttura circolare, che inizia con un monito a se stesso e finisce nel medesimo modo. Queste domande retoriche, sorprendentemente, ricordano già di per sé una canzone dei Subsonica, Istrice, che riecheggiava con domande simili:

Chi ci ricorderà?
Chi ti farà ridere?
Per chi ti smarrirai?
Chi userà lo sguardo tuo?
Chi lo fa al posto mio?
Io dove sarò?

In generale molte canzoni italiane e non presentano un po’ questo mood, sia con domande come in questo caso oppure con quadri nostalgici, fin dalla I know it’s over degli Smiths per arrivare alla più commerciale Someone like you di Adele. Qui forse non è azzardato, però, pensare a Fabrizio De André, che nella sua produzione ha dato molto spazio all’amore ma che, in particolar modo, si è dedicato alla fugacità dell’amore, alla consapevolezza che tutto finisce e che quindi esso sia mutevole.

Ciò si evince dalla celebre canzone Amore che vieni amore che vai – notevole anche la bellissima cover di Diodato – dove viene messo in evidenza come, nonostante in un momento delle nostre vite ci sentiamo coinvolti da una persona, successivamente con il passare del tempo è possibile che le cose cambino. Così anche ne La canzone dell’amore perduto, in cui si conservano comunque i bei ricordi.

Ricordi sbocciavano le viole
Con le nostre parole
Non ci lasceremo mai
Mai e poi mai
Vorrei dirti, ora, le stesse cose
Ma come fan presto, amore
Ad appassire le rose
Così per noi
L’amore che strappa i capelli
È perduto ormai
Non resta che qualche svogliata carezza
E un po’ di tenerezza.

[…]
E quando ti troverai in mano
Quei fiori appassiti
Al sole d’un aprile
Ormai lontano, li rimpiangerai.

F. De André, La canzone dell’amore perduto

Sui ricordi si fondano poi Giugno ’73 e Verranno a chiederti del nostro amore. Entrambe canzoni autobiografiche che non possono non ricordarci Catullo. Infatti, trattano entrambe di una rottura con l’amata. Le domande retoriche sono presenti anche in una delle due canzoni, insieme alla malinconica sentenza di un amore ormai appassito.

O resterai più semplicemente
dove un attimo vale un altro
senza chiederti come mai,
continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai?

F. De André, Verranno a chiederti del nostro amore

Giugno ’73 offre poi nella sua conclusione, forse la soluzione principale al dolore della fine di una storia. Non il semplice “meglio aver amato e perso che non aver amato mai”, ma qualcosa di più. L’idea che l’esperienza dell’amore possa, a prescindere della sua conclusione, costituire bellezza.

Poi il resto viene sempre da sé
i tuoi “Aiuto” saranno ancora salvati
io mi dico è stato meglio lasciarci
che non esserci mai incontrati.

F. De André, Giugno ’73

Seppur trattandosi di semplici poesie o canzoni, in alcuni casi non per forza biografiche, queste opere ci catturano e ci offrono conforto. Forse perché grazie al modo in cui gli autori dipingono la sofferenza, possiamo anche imparare a superarla ed affrontarla. Inoltre, l’arte ci fa comprendere l’universalità del nostro dolore, in poche parole ci fa capire che non siamo soli. La prova è che dalla letteratura latina fino ai giorni nostri, ancora i poeti narrano di sofferenza d’amore, di come affrontare una separazione. Possiamo confrontarci quindi con due autori così lontani cronologicamente e così diversi, che pure ci possono insegnare molto sulla nostra vita, per il semplice fatto che sono uomini, che forse se è finita non tutto è davvero “finito”.

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Giulio Aristide Sartorio, La lettura (Catullo e Clodia), particolare, 1904.


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