Sull’immaginazione e la rinascita

Di Cristi Marcì

Celebrare l’immaginazione sembra al giorno d’oggi un gesto ormai privo di valore.

Ingarbugliati nelle proprie trame quotidiane, ritagliarsi uno spazio per viaggiare con la fantasia si traduce puntualmente in una mera perdita di tempo, rispetto alla quale ciò che è abitudinario e ben collaudato prevale su quella dimensione sconosciuta, che al contrario ci farebbe conoscere qualcosa di nuovo e dal sapore antico.

Tuttavia, se il fantasioso e la dimensione immaginifica riflettevano nel passato quei sentieri da percorrere senza mai stancarsi, al contrario, nel presente, quella cerebrale rischia implicitamente di soppiantare a nostra insaputa ciò che lo psichiatra Eugène Minkowski ha definito lo slancio vitale.  

Pertanto coltivare un nuovo approccio all’immaginazione si prefigura quale azione in grado di riconnetterci alle proprie radici, specialmente durante l’età adulta.

Secondo le neuroscienze una buona dose giornaliera di attività immaginativa non solo produce effetti benefici a livello neurobiologico ma è altresì capace di attivare quei distretti cerebrali dell’emisfero destro ben lontani rispetto a quelli che si è soliti adoperare giorno per giorno.

Viaggiare, ma ancor più giocare con la fantasia, offre la possibilità di operare una vera e propria connessione con la nostra parte più primitiva grazie alla quale distaccarci da quei ruoli che indirettamente ricopriamo e che inconsciamente bloccano quel dialogo interiore ricco di mondi, trame e soluzioni che si è soliti contrastare attraverso un’eccessiva iniezione di razionalità.

Immaginare è dunque quel trampolino di lancio dove sia la creatività che la fantasia fungono da nuove chiavi interpretative dalle quali lasciarsi guidare per porsi nuovi interrogativi.

Vere e proprie bussole in grado di ripristinare un’autenticità che consente di dischiudere le numerose realtà che vanno ben oltre ciò che sembra conosciuto, apparentemente sicuro ma colmo di sentieri ormai battuti.

E attraverso le quali rinnovare quel linguaggio che la neuro-psicoanalisi definisce inconscio primordiale e che permetterebbe non solo di acquisire una nuova mappa sulla quale tracciare nuove rotte bensì di scrivere le pagine di un viaggio che richiama da lontano verso rotte sconosciute.

Immaginare non solo risulta dunque un’attività produttiva per la coscienza, ma al contempo un vero e proprio toccasana con cui ripristinare e rendere più scorrevole quegli ingranaggi della mente che nel quotidiano sembra dover fare i conti con le richieste esterne.

Per cui, se da un lato la nostra frenesia sembra rispecchiare un linguaggio prettamente sociale, nonché un modus operandi normativo, implicito e ormai acquisito, dall’altro l’attività immaginativa è forse ad oggi l’unica capace di far rifiorire un dialogo autentico, libero da quegli schemi collaudati entro i quali si rischia di spegnerlo.

Nello specifico, infatti, quanto risulta abitudinario e del tutto prevedibile, rischia tuttavia di alimentare uno stile linguistico capace di inscriversi entro i nostri pensieri, i nostri modi di riflettere e ancor più di orientarci nel mondo.

Abolendo quegli interrogativi che invece di porre dei limiti valorizzerebbero al contrario la nascita di nuovi stili comunicativi: sia intrapsichici che interpersonali.

Il dubbio difatti sembra contenere quella evanescente imprevedibilità grazie alla quale si rende possibile mettere in discussione ciò che già si conosce e che al contempo trasmette un’illusoria sicurezza.

Quest’ultima infatti non sempre si è disposti ad accoglierla e tantomeno a farvi fronte nel momento in cui sembra voler ribaltare gli strumenti sinora utilizzati.

Se sotto il profilo neurobiologico l’immaginazione è in grado di attivare la zona destra del nostro emisfero, nel quotidiano sembra invece guidarci nel trovare soluzioni inaspettate.

Nello specifico, infatti, essa altro non rappresenterebbe se non il ponte d’unione tra la nostra parte più antica e i nostri più autentici desideri, che troppo spesso non corriamo il rischio di realizzare e coltivare.

Secondo lo psicoanalista James Hillman, coltivare il linguaggio delle immagini che ci abitano significa entrare gradualmente a contatto con un spazio ed un tempo diversi da quelli ordinari e rispetto ai quali peraltro il rapporto causa-effetto si sgretola dinanzi ad una moltitudine sconosciuta, imprevedibile e proprio per questo ricca di opportunità.

Una moltitudine accompagnata da quel valore simbolico che proprio grazie all’immaginazione amplia non solo la percezione di quanto ci circonda bensì la consapevolezza con la quale far fronte a ciò che è in atteso.

A tal riguardo il fisico Carlo Rovelli valorizza il rapporto che dovrebbe intercorrere fra la dimensione quantistica e quella razionale, lasciando che proprio quest’ultima impari a lasciarsi guidare da quell’imprevedibilità attraverso la quale tracciare nuove rotte e nuovi sentieri da percorrere.

Consentendo così la fioritura non solo di un nuovo modo di immaginare e comunicare, bensì l’emergere di un qualcosa di ancora inespresso e assai diverso da quello che si era abituati a pensare. L’immaginazione consente così di riscrivere quelle trame quantistiche che altro non attendono se non di essere conosciute ed esplorate.   

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Immagine: Vassily Kandinskij, Giallo, rosso, blu, 1925.


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