punk is dead #21

Green Day

Di Stefano Marullo

Non a caso concludiamo la nostra storia del punk attraverso i suoi protagonisti più rappresentativi parlando del trio più famoso di Berkeley (California). Con i Green Day il punk rock arriva ad una svolta, un punto di arrivo o, per certi versi, un punto di partenza. O semplicemente entra nei musei come sorpassato. Con i Green Day per la prima volta il genere diventa un fenomeno pop da classifica e perde, forse irrimediabilmente, la sua carica sovversiva ed anti show-business oltre a rendere il suono un po’ più compassato ed orecchiabile. Sulla scorta del successo dei Green Day, i vari Blink 182, Offspring, Rancid hanno offerto negli anni Novanta un’alternativa “scazzosa” alle asprezze nichilistiche del grunge. Ed in fondo accanto all’ala politicizzata ed oltranzista dei vari Crass, Flux of Pink Indians o gli stessi Dead Kennedys, nel punk è sempre esistita un ala più disimpegnata, dai Damned fino agli stessi Ramones.

Green Day by Frank Maddocks

A dirla tutta gli esordi dei Green Day nel 1986 (si facevano chiamare Sweet Children) sono all’insegna della classica gavetta, si esibiscono in piccoli locali vicino a San Francisco e a scoprirli è un’etichetta indipendente, la Lookout!, con la quale incidono i primi lavori, mentre cambia il batterista, Tré Cool al posto di Al Sobrante. Una band come tante del periodo, con un’attitudine punk e il gusto del revival, che parla dei problemi dei giovani, i tre sembrano davvero i perfetti nipotini dei Ramones (che in quegli anni emettevano gli ultimi sospiri), in pochi avrebbero pensato che avrebbero fatto strada. Ed invece arriva la firma con una major, la Reprise, che scommette su di loro pubblicando il loro terzo album Dookie nel 1994, e il successo li travolge. Dookie vende qualcosa come 15 milioni di copie in tutto il mondo, probabilmente è uno dei dischi punk più venduti nella storia. È solo l’inizio. Oggi i Green Day, con un attivo di 25 album pubblicati, hanno venduto almeno 85 milioni di dischi nel mondo, fanno sold out ovunque e hanno anche fatto nascere un numero sempre crescente di cloni (per tutti i Sum 41 che ho visto a “Firenze Rocks” aspettando The Cure,  sono piacevoli ma stancano dopo il quinto pezzo).

Probabilmente le due anime del punk evoluto, l’hardcore e il pop continueranno a convivere. Io continuo a preferire i Propagandhi ma si tratta di gusti personali. Poi di gruppi geniali come The Gun Club  o Cramps che riescono a combinare punk con altri generi con preziosissime alchimie non ne nascono tutti i giorni. Ma che importa: punk is dead.

Vi propongo dei Green Day “American Idiot”, dell’omonimo album, uscito esattamente 10 anni dopo Dookie, nel 2004 che farà vincere un Grammy ai tre ragazzacci (il cui cantante-chitarrista Billie Joe Armstrong continua a truccarsi come Robert Smith) che si prendono il lusso, da buoni punkettari, di cantare contro la propria patria: “Non voglio essere un idiota americano, non voglia una nazione così succube dei nuovi media, e lo senti il rumore dell’isteria?”

La nostra lunga cavalcata sui protagonisti del punk è finita. Spero di avervi fatto divertire.

Ma la rubrica continua.


Pubblicato

in

da