Da Elvis a Taylor Swift
Di Stefano Scrima
Pop music, abbreviazione di popular music, rappresenta dunque la musica popolare, ovvero la musica che “piace di più” in termini statistici agli ascoltatori (o che comunque viene più ascoltata), che sono potenzialmente tutti gli esseri umani.
Detta così è una definizione incompleta, perché non ci dice come fa la musica popolare a diventare popolare. Le ragioni sono rintracciabili
- nella musica stessa. Caratteristiche intrinseche della pop music sono infatti: melodie accattivanti, ritornelli orecchiabili e facilmente memorizzabili, e testi “disimpegnati” spesso focalizzati su temi universali come l’amore, le relazioni e la vita quotidiana;
- nei cantanti di pop music che rappresentano nella maggior parte dei casi il prototipo di coolness (o figaggine, se preferite), maschile, femminile o indefinita, dell’epoca in cui vivono.
In questo senso la pop music può definirsi come un genere musicale, che si contamina di volta in volta con altri generi (rock, hip-hop, dance, elettronica, country…) per dar vita a “prodotti musicali”. L’obiettivo principale della pop music è infatti vendersi. Ciò non significa necessariamente che i cantanti pop non siano sinceri, non si esprimano attraverso la musica che fanno o che non siano “artisti veri”, solo che non possono mai dimenticarsi qual è il loro (e di tutta l’industria che li “usa” e sostiene) obiettivo principale: avere successo attraverso la vendita di se stessi e del loro prodotto. Anche e soprattutto per questo aspetto votato al commercio e alla facile fruibilità, la pop music si contrappone storicamente alla musica colta, ovvero la musica classica o d’avanguardia, più attenta alla qualità artistica delle sue produzioni. In Italia la pop music si identifica in parte con la “musica leggera“, la quale al suo interno comprende però anche altre forme musicali tradizionali, folkloriche e anteriori alla nascita, come vedremo a breve, della pop music vera e propria. D’altronde anche negli Stati Uniti (e non solo) prima della pop music non si ascoltava solo musica classica: c’erano il blues e il rhythm and blues, il folk, il country, il jazz, lo swing…
La pop music come la conosciamo oggi trova le sue radici negli anni Cinquanta del Novecento, con l’esplosione della cultura giovanile cavalcata dall’industria culturale (e soprattutto, in questo caso, musicale) anglosassone (prima negli Stati Uniti e subito dopo nel Regno Unito). Elvis Presley, con la sua miscela di rhythm and blues e country non solo diede vita (insieme ad altri cantanti e musicisti dell’epoca) al rock ‘n’ roll, ma anche, appunto, alla pop music, ovvero una musica dal suono accessibile e commerciale. Rock (che già alla fine dei Cinquanta perde il “roll”) e pop hanno infatti condiviso la strada per diverso tempo – difficile dire se i Beatles, faro musicale di tutti i Sessanta, siano più rock o pop, sono pionieri di entrambi i generi musicali – per poi prendere vie fra loro alternative creando molti sottogeneri (praticamente tutta la musica che conosciamo).
Elvis e i primi Bealtes (fino a quando John Lennon non decise di usare la potenza della sua voce per lanciare messaggi sociali e quindi politici) propongono infatti una musica molto orecchiabile, anche nei suoi eccessi urlati, e testi che hanno come tema principale l’amore. Inoltre, il loro obiettivo primario è senz’altro quello di vendere più dischi possibile.
A un certo punto, negli anni Sessanta, il rock inizia a distanziarsi da queste due logiche – il disimpegno e il successo fruttifero – per esplorare nuove strade, in particolare arricchendo di significato l’esperienza musicale avvicinandola di più all’arte vera e propria rispetto all’intrattenimento consumistico. Ciò non significa che gli artisti rock non volessero più avere successo, ma che non era quello il criterio per cui la propria musica poteva essere ritenuta di qualità o meno. Addirittura, negli anni Settanta e soprattutto Ottanta, dopo l’esperienza del punk, nacque un circuito underground in opposizione al mainstream (che comprendeva anche molti artisti rock considerati, dall’underground, “venduti” al sistema) nel quale impegno e “insuccesso” divennero le fondamentali linee guida, perlomeno fino a quando l’industria musicale non riuscì negli anni Novanta a fagocitare tutto creando un unico grande mercato a immagine e somiglianza del sistema in cui viviamo (ossia il capitalismo consumista).
Ma se il rock si distaccò dalle logiche della pop music, ciò non significa che essa non continuò a percorrere la sua strada, “alleandosi” di volta in volta con altri generi musicali (rock compreso), sdoganando testi più complessi e sociali (ma sempre, ineluttabilmente, universali e, diciamo, filogovernativi – criticare la fame nel mondo, per esempio, è un modo di impegnarsi che non dà fastidio all’industria per cui lavori, sebbene lo stile di vita occidentale sia complice, se non artefice, di questo male), alla ricerca della “formula perfetta”. Anzi, è proprio in questa fase di distacco dal rock che si può iniziare a parlare di pop music come genere musicale a sé (e infatti si usa differenziare la popular music, intesa come la musica popolare a prescindere dal genere, dalla pop music, genere con le sue specificità evolutosi nel tempo). Gli anni Ottanta videro infatti il periodo d’oro della pop music, capitanata da Michael Jackson e Madonna, campioni assoluti di vendite e icone pop la cui influenza culturale perdura tuttora. La loro aura ribelle, così com’era quella di Elvis e dei primi Beatles (ma anche dei Rolling Stones), che rimane però sempre nei limiti accettabili, è perfetta per attirare la fascia giovanile degli ascoltatori – perché, ricordiamolo, sono i giovani, dagli anni Cinquanta a questa parte, i maggiori “consumatori” di musica, e a loro, dunque, deve guardare l’industria per progettare i suoi prodotti vincenti sfruttando la voglia di esprimersi (o semplicemente di fare successo o guadagnare) degli artisti particolarmente dotati delle qualità adatte per piacere alle persone.
Il panorama della pop music contemporanea è popolato da diversi artisti seguitissimi che hanno preso il testimone dai grandi del passato. Parliamo, per fare alcuni nomi, di Taylor Swift, The Weeknd, Dua Lipa, Drake, Katy Perry, Miley Cyrus, Lady Gaga, ma anche (seppur meno popolari di quelli appena citati) i Måneskin, perfetti esponenti della pop music, per come l’abbiamo raccontata, pur esprimendosi attraverso un genere musicale che potremmo dire più rock che pop, ma del tutto svuotato degli elementi che hanno, per un certo periodo, differenziato i due generi, tornando in qualche modo all’origine – senza però la “purezza” (o ingenuità) dei pionieri.