Di Sonia Cosco

Di cosa parliamo quando parliamo di Anassagora? Del fatto che “nessuna cosa nasce né perisce, ma da cose esistenti (ogni cosa) si compone e si separa”? Delle particelle infinitamente numerose e infinitamente piccole e divisibili “semi dell’umido e del secco, del caldo e del freddo, del luminoso e dell’oscuro”? Delle omeomerie, come definì Aristotele questi semi che compongono la realtà? Del fatto che l’oro è fatto di semi di oro, che l’acqua è fatta di semi di acqua, ma che sia nell’oro che nell’acqua ci sono anche semi di tutte le altre cose? Parliamo del Nous, della Mente ordinatrice che sovraintende la composizione dell’universo e dà movimento ai semi, li separa e li unisce?
No, parlando di Anassagora voglio soffermarmi su una delle ultime frasi dell’ultimo capoverso del breve paragrafo a lui dedicato generalmente nei manuali scolastici.
“L’uomo pensa perché ha la mano”. È lei che fa capolino sul palcoscenico. La mano. L’occhio di bue la illumina. Dalle teorie di Anassagora, il fisico pluralista amico di Pericle, attingo questo particolare, prendo la deviazione della curiosità, mi arrampico sulla ramificata polisemia dell’appendice prensile che possediamo da quando ci diciamo umani e che è la chiave della nostra evoluzione.
Aristotele dirà “secondo Anassagora l’uomo è il più sapiente dei viventi perché ha le mani. A mio avviso sarebbe più ragionevole dire che ha le mani perché è il più intelligente”. Aristotele non riesce ad accettare che la tèchne sia superiore alla sofia, puro sapere privo di implicazioni pratiche. Eppure logos, è parola che, considerando la sua radice leg, significa collegare, mettere insieme, raccogliere e come si raccoglie se non con le mani? Nei presocratici la vita contemplativa non è separata da quella attiva, logos (pensiero) ed ergon (azione) camminano a braccetto, in una filosofia che dice, facendo. Che filosofo vuoi essere senza mani? Se la tua teoria non ha mani, lascia stare, perché è con lei che hai acceso fuochi, costruito armi, creato capanne, conosciuto corpi. Estensione fisica della nostra superba mente, mano che tocca l’oggetto ed è toccata dall’oggetto che tocca, magia di reciprocità sensoriale. Mani che oggi – ahimè – dimenticano sempre più saggezza, sapere, memoria, abilità, che passano sempre più tempo a digitare, scrollare, swippare. Mani che hanno smesso di tessere e plasmare, mani in un’eterna esibizione di fluorescenti unghie rapaci. Mani linde, che non sanno sporcarsi con l’olio dei motori o l’umida sostanza della terra. Mani che hanno disimparato tutta la manualità che hanno inventato. Mani in caduta libera. Tornare a lei, grazie ad Anassagora. Perché ci racconta relazioni. Dell’uomo con Dio, nelle dita di Michelangelo che stanno per sfiorarsi nell’affresco della Cappella Sistina, dell’uomo con la musica, archetti di violino da far scivolare, corde di chitarra da pizzicare, tasti di pianoforte in cui sprofondare. “Con le mani sbucci le cipolle” cantava Zucchero. “Con le mani tu puoi dire di sì”.
Anassagora ha inaugurato l’attenzione filosofica alla mano. “La mano è il cervello esterno dell’uomo” aggiungerà millenni Immanuel Kant e con lui in coro le neuroscienze del ‘900.
Viene facile immaginare Anassagora a uno dei TED Talks così di moda, che invita i genitori a buttare pc, tablet, mouse, perché i loro bimbi tornino a scrivere a mano. D’altra parte la mano è ovunque. Nella logica “afferriamo un concetto” come afferriamo un oggetto nel pugno; nella religione le stimmate di Gesù sono segni visibili della passione cristiana; Ponzio Pilato se le lava e da allora, con lui, tutti noi quando diventiamo massa dannata di ignavi. Antichi re taumaturghi guariscono dalle scrofole con la loro imposizione e re Mida ci insegna che dannazione può essere una mano maledetta.
Nella letteratura, nell’arte è un florilegio di mani, come quelle che Lady Macbeth lava in modo ossessivo nell’opera shakespeariana per pulire la sua anima immonda, come quel dito di Tommaso nel costato lacerato di Gesù, che è una delle immagini più vive del crudo realismo di Caravaggio. Nella storia l’imposizione delle mani è la pratica che da sempre legittima il potere regale, sono loro che si impongono nei giuramenti, che si stringono, che si mettono sul cuore, che si lasciano bruciare dal fuoco per dimostrare coraggio (vedi Muzio Scevola), come si potrebbe benedire, guarire, salvare, amare, senza? Smettere di usare la mano significa smettere di usare mente e cuore, significa essere meno umani. L’umanesimo come “un manesimo, manipolare, disporre di maniglie, manici, mazze, missili e ovviamente anche di monete, manuali, moleskine e cellulari” scrive Maurizio Ferraris in Documanità. Quando Hölderlin (ripreso da Heidegger, che sull’essere-nel-mondo della mano ha scritto un saggio) ci ricorda che “poeticamente abita l’uomo”, è solo per sottolineare che “poesia” deriva da poiein e poiein significa fare. “Forse pensare è semplicemente la stessa cosa che costruire un armadio” scrive Heidegger in Cosa significa pensare.
Nel cinema ricordiamo: la timidezza della mano stralunata della famiglia Adams che vive in una scatola, l’assenza delle mani che non possono abbracciare in Edward Mani di forbice, la rapacità di chi, quelle mani, le usa per sete di soldi, successo, potere ne Le mani sulla città.
Quanto avrebbe amato, Anassagora, gli studi sulle mani di Tiepolo, di Leonardo, le mani affusolate delle donne del pittore Bouguereau, ne avrebbe sicuramente parlato con il suo grande e famoso amico di quei tempi, Pericle.
Quando entri nelle grazie dell’uomo politico più potente del tempo, anche un filosofo outsider può diventare uno scrittore di successo e il suo trattato in prosa diventare il primo best seller della storia (a quanto dice Platone), addirittura avere l’onore che i posteri ne conoscano il prezzo (una dracma).
Se diventi il filosofo che scala le classifiche dei libri dell’anno nell’Atene del V secolo a.C., devi però sapere che rischi, perché allora le gogne non erano mediatiche come oggi e se ti accusavano di empietà, poteva costarti la vita. Ad Anassagora basta sostenere che “il sole è una pietra e la luna è fatta di terra” (Apologia di Socrate) per finire sulla graticola dei moralizzatori. Se parli empio e in più passi le serate a ubriacarti a casa di Pericle, è facile che i tuoi detrattori lo siano più per le tue frequentazioni che non per quello che scrivi. Anassagora subisce un processo, rischia la morte, Pericle fa in modo che scappi dal carcere, e lui lascia Atene, tornando in Asia Minore, dove è nato nel 496 a.C.
Dante lo pone nell’Inferno, ma nel castello degli “spiriti magni” pagani, amava studiare la natura, era imperturbabile, non rideva mai e alla notizia della morte del figlio pare abbia risposto: “Sapevo di averlo generato mortale”. Oggi possiamo alzare gli occhi al cielo e con il dito di una mano – sì, di nuovo lei – possiamo indicare un punto impreciso del firmamento e avere comunque la certezza che lì, in alto da qualche parte c’è Anassagora. Quantomeno un 4180 Anaxagoras, l’asteroide dedicato a lui.
Bibliocitazioni:
- Anassagora
- Aristotele
- Dante
- Maurizio Ferraris
- Martin Heidegger
- Friedrich Hölderlin
- Immanuel Kant
- Diogene Laerzio
- Platone
- William Shakespeare
Musicocitazioni:
- Zucchero
Cinecitazioni:
- Tim Burton
- Francesco Rosi
Tvcitazioni:
- La famiglia Addams
Artecitazioni:
- William-Adolphe Bouguereau
- Leonardo da Vinci
- Giambattista Tiepolo