Filosketch #8

Di Sonia Cosco

Opera di Augusta Patrone

Aria, acqua, terra, fuoco. Banalizzare un filosofo trasformando le sue parole nei poteri di supereroi di un fumetto Marvel anni ’90? Si può. Eppure Empedocle è filosofo assai interessante, per aneddoti biografici tra leggende e verità, per frammenti rimasti, per riflessioni originali. Ha inaugurato la fase della filosofia dei fisici pluralisti, mica niente. Senza di lui chissà se Leucippo e Democrito sarebbero arrivati a teorizzare gli atomi e a dare uno dei contributi più alti al pensiero scientifico occidentale.

Ernest Renan ha detto di lui: “uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton mezzo Cagliostro”. Io lo immagino un po’ D’Annunzio, un po’ Lavoisier. D’altra parte era convinto lui stesso di essere il risultato di reincarnazioni subite e superate:

Già un tempo io nacqui fanciullo e fanciulla, arboscello e uccello e pesce ardente balzante fuori del mare.

Notare il linguaggio fiorito, le figure retoriche. E infatti secondo Aristotele fu iniziatore della retorica ed era “amante delle metafore”. Filosofo vate, insomma con un certo gusto per i colpi di scena, soprattutto quando si è trattato di morire.

E partiamo quindi dalla fine (intorno al 430 a.C.) perché è sulla morte di Empedocle, filosofo di Agrigento, che si sono spesi aneddoti e leggende. Come ogni bravo attore di teatro sa, è l’uscita di scena, quella che conta. Le ipotesi sono molte. Dopo aver curato una donna gravemente malata, resosi conto di non poter mostrare nulla di più grande ai suoi concittadini, decise che fosse il momento di ritirarsi definitivamente, andò verso l’Etna e “giunto ai crateri di fuoco, vi si lanciò e scomparve”. Perché Empedocle non morì, ma scomparve, si eclissò, trasfigurò come solo un dio può fare. Quando l’Etna eruttò uno dei suoi famosi calzari di bronzo, arrivò la conferma definitiva, senza appello, che di un dio davvero si parlava. Ma vediamo altre ipotesi. Altri sostengono che si gettò in un più banale fuoco, che cadde in mare, che cadde da un cocchio, che si suicidò a un ramo di corniolo. Le ipotesi sono molte, c’è però un comune denominatore, quello dello scivolamento. Che sia poi nel fuoco su un prato, nel cratere dell’Etna, nelle onde del mare o nel cappio di una corda, chissà. D’altra parte, per il filosofo che riteneva che la morte in fondo non esistesse, ma fosse solo un cadere da uno stato di unione a uno stato di disunione, cosa c’era da aspettarsi?

E della nascita cosa possiamo dire? Che era figlio di Metone, che nacque ad Agrigento intorno al 484 a.C., da una ricca famiglia, che scrisse diverse opere tra cui Purificazione e Sulla natura. Che altre finirono bruciate dalla sorella (Elizabeth, la sorella di Nietzsche qualche millennio più tardi, non aveva osato tanto). Empedocle fu genio multiforme.

Empedocle il Politico: ebbe un rapporto burrascoso con la sua Agrigento e i suoi ideali democratici spesso stridevano con la vanità e l’autoritarismo, si rimane infatti basiti quando scopriamo che fece condannare a morte due uomini perché accusati di non avergli permesso di bere il vino il giorno prima durante un pranzo. Un filosofo con nessun problema di autostima, visto che portava la corona delfica e il suo volto era sempre “serio e grave”. Non avendo conosciuto il monito di Pier Paolo Pasolini di guardarsi dall’essere tentati “dai campioni di infelicità, dalla mutria cretina, dalla serietà ignorante”, lui spandeva intorno a sé la ricchezza del sangue, la consapevolezza del ruolo e l’austerità da filosofo. E come non bastasse, aveva pure una chioma talmente folta da far invidia a tutti i pelati agrigentini.

Empedocle lo scienziato. Brillò anche nell’astronomia e nella scienza: era consapevole che la luna splende di luce riflessa, sapeva che le eclissi solari erano causate dalla luna. Fu il fondatore della scuola italica di medicina e la scuola medica che ebbe origine da lui influenzò sia Platone sia Aristotele.

Empedocle il filosofo. E arriviamo alla sua teoria più famosa, elaborata in un momento in cui i filosofi erano ancora seduti su uno dei maggiori scogli del tempo: esiste l’uno o esiste il molteplice? Per noi creature contemporanee abituate a nuotare nello stato liquido della società ai tempi di Zygmunt Bauman (forse ormai allo stato gassoso), non c’è possibilità neanche di un confronto. Il molteplice vince, su tutto. Eppure pensare all’Uno – proviamoci – non ha qualcosa di rassicurante? Un’ebbrezza mistica. Dall’Uno non c’è che da aspettarsi se stesso, mica altro. Ciò che sembra altro è solo apparenza. E infatti con Parmenide, il grande filosofo della scuola eleatica, era finita che esiste solo l’Uno e il discepolo Zenone, con i suoi paradossi, voleva convincerci che il movimento e il molteplice non esistevano. Ma non era ancora scacco matto a Eraclito l’oscuro. Ecco irrompere l’alfiere siciliano in difesa degli uni e dell’altro, dell’eterno e del contingente. Una patta. Un compromesso. Il vincitore del derby “salvare capra e cavoli” (espressione tra l’altro filosoficamente molto interessante, visto che deriva da uno dei più famosi giochini di logica medievali con cui gli eruditi passavano le giornate). Empedocle, primo filosofo pluralista, dirà che l’essere non nasce né muore. Ciò che sembra il nascere e ciò che sembra il morire si spiegano attraverso l’avvicinarsi o l’allontanarsi degli elementi che compongono la cosa stessa e loro sì, gli elementi, che sono eterni.

La sua dottrina era questa: quattro sono gli elementi: fuoco, acqua, terra, aria: l’Amore per cui si uniscono e la Discordia per cui si separano.

Nella cosmogonia di Empedocle, esiste una fase primigenia, una specie di età dell’oro in cui Amore “impera” e si forma lo Sfero, dove c’è armonia completa. La parola Sfero, forse un omaggio all’Uno di Parmenide che aveva la forma di sfera. Chissà. Tuttavia, come in tutte le sfere lisce che si rispettino, non c’è niente da vedere a parte l’essere liscia, uniforme, perfetta, non ci sono determinazioni, particolarità, non c’è sole, non c’è terra, non c’è mare, c’è l’indifferenziato, l’uniformità, una specie di “divinità che gode della sua solitudine”. Insomma, una noia. Ecco allora irrompere l’ospite disturbante, inatteso, l’Odio, la Discordia che porta scompiglio, “divide et impera”. Non sembra bastare l’Amore per generare, è necessario anche il suo contrario. E in questo gioco tra Amore e Odio si nasce e si muore. Quando vince Amore c’è maggiore equilibrio, quando vince Odio si cade nel caos e le cose si dissolvono e il ciclo prosegue senza finire mai. Se c’è equilibrio tra Amore e Odio, le cose vanno bene, ma non se domina uno o l’altro. È come se, ritornando a Eraclito, anche Empedocle volesse ricordarci che a fare del bene non è solo l’Amore e a far del male non è solo l’Odio. Il mutamento è la linfa della vita. La lotta, lo scontro, il conflitto sono altrettanto importanti della pace, della tranquillità per costruire il mondo (e anche la nostra vita). D’altra parte Afrodite non è sempre portatrice di pace, come ben sanno Paride ed Elena di Troia e come ben sappiamo anche noi. E quindi, in questa esistenza fatta di esaltazioni e cadute, Amicizia e Discordia, Amore e Odio, in questa sinfonia ora armoniosa ora cacofonica, ora di pace e ora di guerra, il filosofo poeta agrigentino augura a se stesso, di essere, alla fine, “liberi dalle sciagure umane, salvi da ogni avversità e incapaci di sofferenza”. Ma non è forse più interessante continuare a sentire e a danzare?

Bibliocitazioni:

  • Zygmunt Bauman
  • Diels-Kranz
  • Diogene Laerzio
  • Empedocle
  • Pier Paolo Pasolini
  • Platone
  • Ernest Renan
  • Emanuele Severino


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