Adorare l’attesa con Kafka

Kafka adorava aspettare, sapere che qualcosa era degno della sua attesa. Ne parla Pietro Citati nella biografia dedicata allo scrittore boemo, e non è nemmeno avaro di particolari: gli piacevano le lunghe attese, quelle silenziose (perché fra l’altro era ipersensibile ai rumori), guardare ogni tanto l’orologio, stravaccato sul divano con gambe distese e mani in tasca. “Aspettare dava uno scopo alla sua vita, che altrimenti gli sembrava così indeterminata: aveva un punto prefisso davanti a sé, che segnava il suo tempo, e lo assicurava di esistere”. Effettivamente, senza attese che senso avrebbe la vita? Ma Kafka va oltre. In uno dei suoi celebri Aforismi di Zürau scrive:

Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te.

L’attesa diventa così una forma estrema di presenza: non fare, non agire, non forzare il mondo, ma semplicemente esserci, e lasciare che il mondo si sveli da sé. In fondo, ormai lo sappiamo quanto esso possa essere kafkiano, perché prodigarci per farci deludere ancora?


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