L’arte di scopare la solitudine

Dal letto di Tracey Emin al mio: corpi disfatti, cuori lucidi, amore solo per chi sa restare nudo

Di Roberta Denti

Il sesso è un letto disfatto.
La solitudine è il coraggio di non rifarlo.

Firenze, luglio rovente.
Il Grand Hotel mi accoglie con il suo respiro stanco di velluti e specchi. Lì mi aspetta lui, G. amante di lungo corso, sagace, perverso e decadente come un vecchio attore francese che sa di non avere più il fisico ma conserva il veleno della voce, l’arte della mano, il gusto dell’attesa. Da oltre vent’anni ci amiamo di un amore obliquo, clandestino, intimo. Ordina Martini cocktail da consumare, per poi consumarci, in camera, bicchieri affilati come lame, ghiaccio che geme nei cristalli mentre le sue dita già armeggiano con corde sottili. Il mio amante è amante delle pratiche di sadomasochismo. Dominio e sottomissione sono le nostre chiavi amorose. Mi lega i polsi con grazia barocca, lasciandomi in bilico tra supplizio e promessa.

Mi spoglia come si svela un’opera proibita, sussurrando parole oscene con accento da dandy corrotto. Mi cavalca lento, poi feroce, mentre io rido e grido, schiava e regina nello stesso respiro. Le tende pesanti filtrano il sole in schegge cremisi, e il mio corpo diventa teatro di supplizi e carezze, calice e altare, mentre i suoi denti mi segnano le spalle come se volesse appendermi a una parete invisibile.

Il sesso con lui è sempre un requiem e una festa: legami, legacci, improvvisi morsi, la precisione di chi conosce a memoria le mie crepe e vi affonda le dita. Mi scioglie solo quando è sicuro che io non fugga: viene dentro di me con brutalità elegante, e subito dopo, si accascia inebriato e spompato, spettatore della mia fuga.

Io, ancora grondante, raccolgo la mia solitudine come un mantello e scivolo fuori da lui e dalla camera. Non lo voglio accanto. Dopo averlo avuto dentro. Voglio l’arte che più mi somiglia. Voglio Tracey Emin. In solitudine.

Palazzo Strozzi, Sex & Solitude

Entro come si entra in una chiesa proibita, il sesso ancora addosso come un odore animale. Ogni sala un corpo, ogni opera una ferita. Le tele enormi, spazzolate di rossi e neri, sono viscere dipinte: donne contorte, spettri di carne, figure che sanguinano colore. I am the last of my kind, sembrano gridare le pennellate.

I neon vibrano come tatuaggi al neon nella notte di un bordello. Those Who Suffer Love. I Whisper to My Past Do I Have Another Choice. Parole di fuoco che mi lacerano la retina, come incisioni dirette nell’osso. Tracey non dipinge: incide, ricama, espone. Ogni frase è un grido al neon, ogni disegno è uno stupro della linea, un amplesso con l’abisso.

Davanti ai ricami, tessuti con frasi di desiderio e di perdita, mi sento di nuovo legata: il filo come corda, il tessuto come pelle. Ogni punto è una cicatrice, un nodo, un gemito.

E poi le sculture bronzee, corpi femminili mutilati, semidistesi, come reliquie di orgasmi interrotti o statue sopravvissute a un bombardamento. Carne diventata metallo, ferita cristallizzata.

Tutto parla di lei e di me.
Le sue parole:

The most beautiful thing is honesty, even if it’s really painful to look at.

E ancora:

My work is about the ugly truth, not the beautiful lie.

Non decorazioni, non estetica, ma la carne viva esposta in piazza.

Mi fermo davanti a un neon: I Think of You Every Day. Lo leggo come se fosse scritto sul mio ventre, come se parlasse del mio amante rimasto al Grand Hotel, legato a me da un cordone invisibile di sperma e corda. Ma no. Non era di lui che parlava. Era di me a me stessa. Del mio corpo. Balena nel mentre e nel ventre il doloroso e amoroso ricordo di un altro amante che tutto mi prese, lasciandomi frantumata. Le conseguenze dell’amore sono scolpite nelle cicatrici del cuore. Piango.

Tracey conosce la differenza tra loneliness e solitude. La prima è l’abbandono sofferto, la seconda è la vetta conquistata da sola. Lei lo sa. Io lo so.

Loneliness is strength.

Sola, non sposata, senza figli, solo amanti, opere, gatti.
Il letto disfatto non è più disfatta.
È altare, è regno, è confessionale.

Firenze di luglio.
Dal martirio dolce del mio amante alla ferita sacra di Tracey.
Il cerchio si chiude: sesso e arte come lo stesso atto, la stessa violenza, lo stesso grido che non ha paura di essere troppo.

Tracey & me: due donne che hanno trasformato la loro solitudine in un trono e le loro ferite in un poema di carne.

MANIFESTO PER LETTI DISFATTI E CUORI IN FIAMME

Io non rifaccio i letti.
Li sfascio, li consacro, li espongo.

Il mio corpo è tela, il mio sangue è inchiostro, il mio gemito è parola.
Non cerco salvezza, cerco verità.

Chi mi vuole deve saper reggere lo specchio infranto,
chi mi ama deve imparare a leccare le ferite senza rimarginarle.

Il sesso è la mia arma e il mio rifugio.
La solitudine è il mio trono.

Io sono la donna che ride legata.
Io sono la donna che piange davanti a un neon.
Io sono la donna che scopa la sua stessa solitudine
e la trasforma in arte.

Tracey & me.
Per sempre, eccessive.
Per sempre, vere.

TRACEY EMIN – L’arte come confessione

1963 – Croydon, Londra. Infanzia a Margate, tra abusi e precarietà. Primo imprinting: il dolore come lingua madre.
1995 – Everyone I Have Ever Slept With 1963-1995: una tenda blu cucita di nomi – un corpo collettivo, personale –, bruciata nel 2004: morta due volte.
1997 – Ubriaca in diretta TV a The Death of Painting, Channel 4: verità fuori controllo.
1998 – My Bed: lenzuola macchiate, bottiglie vuote, mozziconi, preservativi. La depressione e il sesso messi in vetrina. Finalista al Turner Prize.
2002 – Prima retrospettiva alla Hayward Gallery (Londra).
2007 – Biennale di Venezia: la carne e le parole del Regno Unito su palcoscenico mondiale.
2011 – Love Is What You Want: vent’anni di sesso, trauma, desiderio e confessione.
2020 – Cancro alla vescica. Isterectomia, colostomia. Rifiorisce nell’arte più nuda.
2024 – Sex & Solitude, Palazzo Strozzi, Firenze: carne e silenzio, eros e isolamento.

Le sue costanti:

  • Sesso come liberazione e ferita.
  • Solitudine: cercata, subita, esibita.
  • Trauma sublimato in estetica brutale.
  • Il letto come altare e fossa.
  • Onestà estrema: il corpo come testo, la parola come ferita.

Tracey non ha paura di essere “troppo”. Io nemmeno. E forse, tra neon e tele, ho stretto con lei un patto silenzioso: il sesso è sublimazione; il dolore è arte; la solitudine, un’opera di forza.

Tracey vive a Margate, cittadina sul mare.

Io abito a Stromboli, isola nel mare.

Tracey ha due gatti: Teacup and Pancake.

Io ho due gatti: Rosina e Smog.

Ci specchiamo persino nei felini, nelle solitudini domestiche, nelle tane feline che ci scaldano i letti disfatti.

Anche i gatti si somigliano.

O forse siamo noi, a somigliare ai nostri gatti: creature selvatiche addomesticate solo a metà.

A vivere la loro stessa solitudine, elegante e feroce, miagolando di notte.


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