Settima lettera

Di Patrick Damnet

Domenica 10 agosto 2025, ore 9:25

Caro Stéphane, 

perché è così difficile andare verso le cose stesse? Sembrano sfuggirci di mano, se ne vanno, o ce ne andiamo noi, nulla sta lì, semplicemente.  Non si può entrare due volte nello stesso fiume, figurati nelle stesse cascate, come quelle che vedi qui su: le riconosci, Stephane, ci sei stato? 

Nulla è davvero eterno, forse neppure la tua città lo è, eppure è stata detta eterna, è da me amatissima e desiderata, ma eterna non è. Lei è la prima, lo sai no?, visto che ce sono una seconda e una terza, sarà in Alaska il dominus della terza proprio questo agosto, il giorno di Ferragosto ormai vicinissimo. Ma passerà anche Ferragosto, parlerà di guerra con un altro dominus – ma lo sono davvero questi due uomini? o quello che fanno e pensano e decidono e decideranno e desiderano e impongono ha qualcun altro o qualcosa dietro? Andare verso le cose stesse è così difficile! e l’uomo di Berlino potrebbe avere ragione parlando di astuzia proprio di lei, proprio della ragione…

Pensavo questo qualche giorno fa nella mia città antica del nord – sai che ne ho tre di città, non è vero? una al nord, una al sud e una, la più amata nonmenevoglianolealtredue, al centro – proprio passando davanti al Sole nella sua veste di Arena, in via Indipendenza. Sono poi passato davanti la Borsa divenuta galeotta, tra i libri, davanti al Nettuno, proprio nella sua piazza: il dio ci guarda da secoli, mi ha visto ventenne passare per la prima volta da qui, il cuore gonfio di nostalgia. Ora invece passandogli accanto gli annuncio di dimenticare la mia nostalgia, non so chi abbia voluto altrimenti perché non so quasi nulla delle cose stesse, ma so di lei, e dei suoi passi verso il Velino e il Nera, quasi allo sbocco della Valnerina. Mentre leggi, lei sarà lì, felice tra i boschi e verso la cascata, come quand’era bambina e io non c’ero ancora… 

Io invece adesso ci sono e vado per un caffé verso via Clavature, nel regno dello scambio dei libri e del cibo, tutto col proprio prezzo, i cartellini sono chiari e a volte conditi d’ironia, proprio davanti Tamburini – sai dov’è, vero?, lì nel cuore della città vecchia… Appuntamento di lavoro, non vedo da molti anni gli occhi di lei allora solo ridenti, occhipienidironia, adesso Ermabifronte che ride del pianto della faccia opposta, e sa mantenere i suoi occhidighiaccio fissi su chiunque serva, restando però occhipienidironia e la ammiro e non so come faccia – per fortuna non serve con me fissarmi con occhidighaccio, ne avrei paura, sai che a volte guardo dritto negli occhi la paura, è vero Stéphane? Dritto negli occhi, non ho paura di te, le dico quando guardo negli occhi la paura, non so chi governa le cose stesse e io stesso sono una cosa stessa, e tu pure lo sei, e fai paura perché sei paura ma non sai perché. Ma come è possibile che io sappia davvero così poco?

Ce lo diciamo con la sorridente Ermabifronte chiacchierando del passato e del futuro – e non esistono entrambi, ci pensi? Di cosa parliamo allora, se non esistono? Il discorso cade su AI, perché è una manager, e io come faccio a non pensare al manager al suo secondo libro su questo argomento. Ne sai qualcosa, Managercongliocchisulloceano, delle cose stesse? I droni continuano a volare, il Nera continua i suoi tre salti a comando di 165 metri, AI sta preparando per i loro sherpa l’incontro dei domini a Ferragosto, il tempo continua ad essere un fanciullo che gioca a dadi, ma chi o cosa c’è dietro la tua AI che ti ha tanto affascinato? 

Chi la progetta, sa quel che fa? Io so di non sapere, ma Ermabifronte mi ha insegnato qualcosa del mondo delle aziende a cui appartengo, ho letto il suo bel libro, ed è a questo mondo delle aziende che appartiene anche questo diario che tengo per te, Stéphane, tutte le settimane per l’intera estate. 

In piazza Minghetti mi fermo su una panchina e le scrivo. So come si fa, ho letto le lettere di Klee alla moglie, puoi scrivere lettere così solo avendola sempre con te, dentro, lontani per lavoro, presto o tardi ricongiunti, adesso una cosa sola – certo una di quelle cose che ti spingono ad andare verso le cose stesse, e non ne sai quasi nulla, e allora? Non so nulla delle cose stesse, le scrivo, ma so di te e di me, so del mondo, un solo mondo, di noi, e so di non sapere quasi null’altro delle cose di cui ho parlato con Ermabifronte e con Managercongliocchisulloceano, la dove si avventurarono superando le Colonne d’Ercole… 

Loro sono operativi, io sono affascinato dal mondo operativo, l’AI appartiene davvero al mondo operativo? Perché, le scrivo, ho così forte il sospetto che appartenga ad un mondo diverso? Se ha ragione chi ha scritto quella frase a Berlino, posso davvero andare verso le cose stesse e comprenderle reali e razionali? Lo scrivo nella mia lettera su carta, lei non sa la risposta, ma sa di me. E io ci sono, c’è il mondo del noi. Perché, le scrivo, non posso sapere che cosa significa che c’è, e chi siamo davvero noi? 

La frase di Berlino, Stéphane, mi chiederai qual è. Ecco, te le la scrivo bianco su nero, al contrario di come si fa di solito. Ma che importa? L’essere e il nulla, o il nulla e l’essere, non danno sempre come sintesi il divenire? Leggila Stéphane, mi scrivi cosa ne pensi? Il tempo continua nel gioco dei dati, il Nera continua a saltare nei suoi tre salti, seguita dal mio pensiero lei continua il suo trekking tra i boschi intorno al Nera… 


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