Seconda lettera

Di Patrick Damnet

Bologna, domenica 6 luglio, ore 9:00

Siamo ombre, Stéphane, come questa sulla nostra testa? La nostra realtà ha la consistenza delle ombre, o forse solo la loro inconsistenza? Si accende una nuova luce, ed ecco, le ombre si sdoppiano, si sovrappongono…

Siamo così, Stéphane? Sì, lo so che non lo sai nemmeno tu, ma, Stéphane, ascolta cos’ho da raccontarti! Ho sognato un sogno, che già ti vedo che dici: certo che hai sognato un sogno, cosa volevi sognare se non un sogno? Ma… ma ero sveglio, ne sono sicuro, Stéphane, ero al computer e stavo lavorando, anche molto concentrato e all’improvviso… è apparsa lei! 

Ora, io dico, siamo nel 2025, non nel 2000, e non la vedo da allora, com’ha fatto ad apparire? Eppure è apparsa, era lì, ed era riflessiva, seria anche se sorridente, perché parlava di lavoro con pacatezza e assennatezza. Lei? Assennatezza? Mi sembrava impossibile, doveva essere un sogno. O è stato un sogno nel 2000? 

Diamine, non aveva per nulla torto René, come facciamo a distinguere la veglia dal sogno? Ho pensato a lungo alle parole del poeta, che gioca con le visioni della notte, di quella notte magica, proprio di mezza estate come adesso:

«Se noi ombre ti abbiamo offeso,

tu pensa a questo e tutto torna a posto:

ti sei solo addormentato qui,

e queste visioni ti sono apparse».

E appena l’ho vista, a video in un canale di youtube che chissà come ero capitato lì (è apparsa inattesa, all’improvviso!) ho subito pensato al fiore di Puck. Ricordi Stéphane? Hai davanti a te la persona amata, e sta dormendo. Dormendo, capisci? Dorme…! Hai in mano il fiore magico, te l’ha portato Puck, se lo strizzi sulle sue palpebre chiuse – i suoi pensieri sono avvolti nell’ombra del sonno – si innamorerà tra poco di te, perdutamente e per tutta la vita, inconsapevole. Ti basterà fare attenzione che nessun altro sia in vista, perché il potere del fiore è questo: si innamorerà del primo che vedrà svegliandosi! 

Stéphane, l’avresti usato quel fiore? Io, te lo confesso, non l’ho usato, e avrei voluto. Harriet mi guarda e sorride, adesso è qui con me, sa che posso dirle tutto, e le dico di lei. Ma tu sei reale, Harriet, e  io ho sognato e nel sogno non ho usato il fiore di Puck. E neppure con te l’avrei usato, Harriet! Ma come distinguere il sonno dalla veglia? Non siamo forse l’ombra di noi stessi? Ma tutto sommato, Harriet, a che servirebbe distinguere! Sogno o realtà, il fiore di Puck avrebbe comunque fatto dell’amore di lei l’ombra dell’amore di lui – ombra, non realtà, e io ho fame di realtà!

Il computer è acceso, Stéphane, e il video lo sto facendo ripartire e lei è sempre assennata, e dice le stesse parole, e sorride allo stesso, serio, modo di prima, e l’intervistatore le chiede le stesse cose…

Siamo sicuri di essere svegli, Stéphane? La ruota gira, uguale.

Ombre, scrive il poeta, e anche le ombre in effetti possono offendere. Ma siamo ombre di noi stessi, e che, ci  mettiamo a offendere noi stessi? 

Harriet, dove sei? Sorridendo mi prendi in giro, ma io non voglio essere un’ombra, né pensarti come ombra!

Tenendole a mano mi rivolgo a te, e ti chiedo: siamo ombre Stéphane, come questa ai nostri piedi? 


Pubblicato

in

da