Prima lettera

Di Patrick Damnet

Bologna, domenica 1° giugno, ore 9:00

Caro Stéphane,

sai abbastanza di Bologna per poter vedere, con me adesso, via Zamboni deserta. L’orario e la domenica spiegano perché, e io sono in questo momento sotto il portico di San Giacomo, pensando ai Bentivogli, che hanno fatto dipingere l’intera famiglia nella celebre cappella dietro questo muro. Sai che mi sono innamorato di una delle loro figlie? Serena, bellissima, lo sguardo intenso, non mi guarda dalla parete, sta pensando qualcosa o qualcuno, e non dirmi che sono un idiota visto che è vissuta più di cinque secoli fa: che importa il tempo? Se importa, allora nulla importa, perché passa, se ne va, e ne raccogli le briciole. Ma l’arte lo ferma, nelle parole o nel colore di quella parete, al di là del muro esterno della cappella, dove sono adesso. E poi dov’è lei, di cui sono stato innamorato nei miei vent’anni? C’è davvero differenza tra lei che manca da oltre trent’anni e la figlia dei Bentivogli che le somiglia? Passato, tutto passato, dov’è adesso?

Reale, sì, ma la realtà ci sfugge di mano. Inseguo l’arte, perché l’arte la ferma, la realtà. Illusione? O è illusione il tempo che si porta via tutto?

Non te l’ho ancora detto, non sto andando in qualche posto in via Zamboni, è che la prima domenica del mese i Musei sono gratis, io ho pochissimi soldi e ne approfitto. Ci sei mai stato? Alla fine di via Zamboni si apre uno slargo, dove confluisce via Belle Arti – te la ricordi? c’è la Trattoria dove porto tutti i miei ospiti tanto è buona – e lì c’è l’Accademia, con la Galleria.

Da tanto tempo i Musei mi confondono con la ricchezza delle loro tele, sicché entro per vederne una sola. Costoso, lo so, ma oggi è gratis. Il palazzo è antico, il gioco delle ricostruzioni ha fatto sì che il quadro che sono venuto a vedere richieda un lungo e tortuoso percorso: lo hanno messo proprio alla fine, in una delle ali della Galleria. Vedimi camminare adesso senza guardare nulla, non voglio avere occhi che per Raffaello, e qui c’è di tutto, ma davvero di tutto – lo sai come sono i Musei, no?

Sono entrato per primo, non c’è nessuno. Io e Raffaello, solo noi due, controllati però da una signora in bell’uniforme che ricorda che siamo in un museo. Controlla me, però, non Raffaello, perché lui non c’è. Ma santo cielo, che vuol dire che non c’è? Non vedo davanti ai miei occhi la sua Cecilia, non vedo gli strumenti musicali dipinti? Sono qui, ora… E lui che ha dipinti non c’è!

Ma Luigi è arrivato dopo di me, avevamo appuntamento per parlare di filosofia della musica davanti ad uno dei quadri simbolici di questo settore dell’amatissima filosofia. E appena arrivato, e controllato con gli occhi dalla signora seduta accanto al quadro, mi ricorda che gli strumenti musicali, rotti e buttati per terra o tenuti in mano mentre cadono a pezzi, non li ha dipinti Raffaello, ma un suo allievo. Come si chiamava? Che importa Patrick, mi dice Luigi, lui non c’è più, i suoi strumenti sì. Eh sì, ma si stanno rompendo anche loro, cadono a pezzi!

Luigi mi prende in giro: quanto ci metteranno a distruggersi del tutto? Sono sempre uguali, non cambiano mai, e decenni fa ho visto per la prima volta questo quadro, ed erano già così. L’arte sa fermare il tempo, mi dice.

Escludiamo che lei, santa Cecilia che dicono in estasi ma a me sembra che stia solo pensando a qualcosa, stia pensando che la musica ferma il tempo. Senza tempo dov’è la musica? E infatti lassù in alto, dov’è dipinto l’eterno, anche gli angeli cantano in un qualche tempo che non è nostro, ma dev’esserci tempo nell’eternità altrimenti non si sentirebbe la musica e la musica si sente, da qui si sente benissimo, non senti anche tu che stanno cantando?

Cecilia, cosa stai pensando? Per sapere dov’è lei, mi stai dicendo che non devo pensare all’arte, che ferma il tempo, ma alla musica, che ne crea uno tutto suo? Nella musica la troverò? Dici?

La signora continua a controllarci, allarmata, ci siamo avvicinati troppo al quadro. Adesso andiamo a prendere il caffè fuori, su via Irnerio. In Medio Oriente anche stamattina son morti dei bambini, in altri luoghi non è accaduto qualcosa di diverso. Colombina è sempre Colombina, la ruota gira, ed è sempre uguale, cambiano i nomi, gli eventi sono gli stessi. Che dici, Stéphane, sei anche un musicista te, davvero la musica è tutta diversa dalle altre arti?

Platone e Schopenhauer lo hanno pensato, non me ne importerebbe molto se non fosse che nella musica forse posso cercarla…

Vuoimi sempre bene, so che è difficile quando ti scrivo queste cose, ma tu insisti nel volermi bene.

Tuo,

Patrick

*

Immagini: Raffaello, Estasi di Santa Cecilia, 1514 circa (particolari).


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