Robby Krieger

Robby Krieger nasce a Los Angeles l’8 gennaio 1946 sotto il segno del Capricorno. Nel 1965 entra nei Doors, il gruppo più psichedelicamente imprevedibile della storia, insieme a Jim Morrison, Ray Manzarek e John Densmore. Robby è il più silenzioso del quartetto, quello che sta in disparte con lo sguardo da studente di filosofia, ma non fatevi ingannare: è lui che scrive “Light My Fire”, la miccia che accende tutto, e firma anche classici come “Love Me Two Times”, “Touch Me” e “Peace Frog”. Altro che comparsa: senza di lui, i Doors sarebbero stati solo parole e tastiere in cerca d’autore. La sua chitarra non urla, ipnotizza. Niente distorsioni selvagge, niente assoli smarmellati: Krieger suona con le dita, senza plettro, un’anomalia nel mondo del rock. La sua tecnica è una combinazione unica e irripetibile: flamenco (che ha studiato davvero, ispirato da Mario Escudero), blues del Delta, jazz alla Coltrane, un pizzico di ragtime e suggestioni indiane. Il tutto mescolato con una sensibilità melodica fuori dal comune, e servito su una Gibson SG che nelle sue mani sembra più uno strumento rituale che elettrico. Usa il bottleneck (o slide guitar) con classe, come in “Moonlight Drive” o “Crawling King Snake”, scivolando sulle corde come se volesse sussurrarle all’orecchio. Non invade mai lo spazio sonoro: lo dipinge. Krieger è uno dei pochi chitarristi capaci di lasciare un’impronta fortissima pur restando nell’ombra di un frontman come Jim Morrison – che sul palco sembrava ogni volta a metà tra un poeta maledetto, uno sciamano ubriaco e un provocatore professionista. Eppure Robby c’era, sempre. Con la sua calma, la sua precisione, il suo stile inclassificabile, dava equilibrio al caos. Senza di lui, “The End” sarebbe solo un lungo delirio – con lui, è un viaggio mistico in cui ogni nota sembra scelta da un oracolo. E quando la chitarra entra, non è mai per sfondare la porta: è per aprirla dall’interno.

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Disegni di Maurizio Di Bona, testi di Stefano Scrima


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