Flux of Pink Indians
Di Stefano Marullo
Di tutta l’allegra (ma non troppo) brigata che faceva riferimento all’anarco-punk dei Crass (di cui ci siamo occupati la scorsa settimana) e che ne condivideva il pensiero e l’opera, nomi che vanno dai Conflict alle Poison Girls, dagli Omega Tribe ai Rudimentary Peni, dagli Icons of Filth agli Anthrax, dagli Zounds ai Kukl, dai Mob a Awar the Womb, solo per fare qualche nome, i Flux of Pink Indians sono sicuramente i più talentuosi e dotati di una discreta tecnica musicale ma anche i più intraprendenti, autoproducendo i loro lavori sin da subito, fuori dai circuiti commerciali e sempre a dovere fare i conti, esattamente come gli amici Crass, con la censura e l’interessamento non proprio benevolo di Scotland Yard per i contenuti delle loro canzoni considerati eversivi.

Il gruppo ha poi cambiato il nome in Flux orientandosi su sonorità che vanno oltre il punk ma conservando una certa profondità nei testi per poi fare perdere, purtroppo, le tracce. Il loro lavoro di esordio Strive To Survive Causing Least Suffering Possible pubblicato nel 1981, è uno dei lavori più pregevoli della storia del punk, un concept album eccellente e abrasivo, suonato tutto d’un pezzo, un hardcore distorto che lascia senza fiato e insieme un manifesto politico libertario davvero interessante, che affronta temi più disparati che vanno dalla sperimentazione animale alla guerra, dove trovi tra gli altri anche la localizzazione di tutto l’armamentario nucleare del Regno Unito, un poster con un bimbo scheletrico con la pancia gonfia simbolo della fame nel mondo, un irriverente catalogo di gadget improbabili per “essere punk” (nel disco cantano “punk belongs to the punks, not to the business men”). Un canto sinistro e quasi disperato che parte dal parlato “Song For Them” (“Il bambino piange, la gente muore, le morti sono indicibili, la terra è desolata, qui non cresce niente”) per finire con “The Fun Is Over” (“Il divertimento è finito, inizia a scavare”) dove ad un certo punto le parole si interrompono a causa di un boato seguito da un silenzio abissale. C’è persino (“Is There Anybody There?”) un urlo alla divinità sorda che sta lassù e, tra i pezzi più belli, questo “Some of Us Scream, Some of Us Shout” intriso di ironia amara: “Siamo tutti condizionati a pensare che dieci tele siano migliori di una e far saltare in aria questo mondo dieci volte è meglio che farlo saltare in aria una volta, miliardi spesi per distruggere il mondo mentre milioni muoiono di fame, dove abbiamo sbagliato?”.
Punk d’annata, intransigente e senza compromessi, altro che Blink 182, Offspring e pop-punk annacquato e da classifica.