Neil Young nasce a Toronto il 12 novembre 1945 sotto il segno dello Scorpione. Dopo i primi passi con i Buffalo Springfield, nel 1969 si unisce ai Crosby, Stills & Nash, dando vita alla versione “& Young” della band e regalando al mondo capolavori come Déjà Vu (1970). Ma Neil è uno spirito libero e presto preferirà volare da solo, sfornando gioielli come After the Gold Rush (1970) e Harvest (1972), con la dolcissima “Heart of Gold” e l’ipnotica “Old Man”, pezzi che fanno sciogliere chiunque abbia un cuore. Attenzione: Neil Young non è solo folk. Quando imbraccia la sua amata Gibson “Old Black” sfodera riff che spazzano via qualsiasi dubbio sulla sua anima rock. Basta sentire l’attacco devastante di “Rockin’ in the Free World” o la rabbiosa “Cortez the Killer” per capire di cosa è capace. I suoi assoli? Ruvidi, sporchi, emozionanti e rigorosamente live, dove il feedback diventa arte pura. Il suo stile chitarristico è un mix di distorsione selvaggia e semplicità assoluta: pochi accordi, tanto cuore, zero fronzoli. Neil non è mai stato un virtuoso, ma quando suona, ogni nota arriva dritta nello stomaco. Non a caso, negli anni Novanta qualcuno lo ha voluto nominare “padrino del grunge”, per via del suono grezzo e all’attitudine cruda e sincera che ha influenzato band come Nirvana e Pearl Jam. Ma non si è limitato a essere un’ispirazione: nel 1995 collabora con i Pearl Jam nell’album Mirror Ball, dimostrando di essere perfettamente a suo agio accanto a una nuova generazione di rocker tormentati e rumorosi. Immortale il verso “It’s better to burn out than to fade away” (Meglio bruciare che spegnersi lentamente) di “My My, Hey Hey (Out of the Blue)” (Rust Never Sleeps, 1979), tristemente contenuta anche nella lettera di addio di Kurt Cobain, al quale Neil dedicherà la canzone “Sleeps with Angels”, tratta dall’omonimo album del 1994.

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Disegni di Maurizio Di Bona, testi di Stefano Scrima