Di Stefano Marullo
Sulla pagina di copertina di questo interessantissimo volume campeggia la foto di un nero che prende l’acqua da un dispenser dove c’è la scritta “colored” perché i “white men” hanno il loro dispenser. È il 1932, è passato quasi un secolo, e proprio di questi ultimi giorni, l’immagine di un gruppo di immigrati dalla pelle scura in catene in procinto di essere imbarcati verso il loro Paese di provenienza nell’America del suprematista bianco Donald Trump è altrettanto emblematica e sembra riportarci indietro di molti decenni e soprattutto disvela come il razzismo pur cambiando latitudine e contesto rimanga una tara costante nei corsi e ricorsi storici, come una sorta di damnatio della specie umana.
Mancava un tractatus su un tema così cruciale, a cui l’Università del Salento, dove insegna il professor Fabio Ciracì dedica con generosità ogni anno le Giornate di studio sul razzismo. Un’opera vorrei dire necessaria in questi tempi di ossessioni sovraniste e pruriti xenofobici, un vero gioiello per completezza, rigore scientifico, chiarezza di analisi e interdisciplinarietà che fa dialogare biologia e storia, antropologia e filosofia. Come dimostra bene Ciracì analizzando la teoria critica della Scuola di Francoforte e passando in rassegna i suoi sviluppi confluiti nella Critical Race Theory (CRT), il razzismo è qualcosa
di profondamente strutturato e “strutturale” nel tessuto economico, sociale e culturale della modernità ed è quindi necessaria un’opera di decostruzione dei meccanismi che ne cementano la forza. È necessario scardinare quindi le strutture “logiche” che pretendono di fare del razzismo qualcosa di intrinsecamente naturale e dunque immanente.
Scrive efficacemente Ciracì:
Se il razzismo come “visione del mondo”, e quindi come prassi premoderna, assume per scontata o implicita la differenza gerarchica fra gli uomini intendendola come naturale, ovvero interiorizzandola come senso comune, l’ideologia razzista invece si propone di giustificare la discriminazione razziale ex post, poiché essa si trova a confliggere con le istanze universalistiche proprie della modernità. Questa differenza assume un significato fondamentale per comprendere la distinzione fra le due forme di razzismo che si possono paragonare l’una all’intuizione del mondo, l’altra alla sua concettualizzazione.
D’altronde, lo stesso autore citando Fromm rammenta che l’uomo quale animale culturale non è solo prodotto della storia ma è anche colui che la fa, ne è attore. Ecco perché il razzismo può e deve essere combattuto, prima di tutto come
paradigma (verrebbe voglia di citare la negritudine di cui parlava Patti Smith nella sua “Rock’n’Roll Nigger” dove chiama negro Gesù Cristo e Jackson Pollock o “L’orfeo nero” di Jean-Paul Sartre, pure riportato da Ciracì) nelle forme dell’essenzialismo, della supremazia razziale (attesa l’antiscientificità della parola “razza”) e dell’oppressione sic et simpliciter dell’homo homini lupus e conseguente deumanizzazione del prossimo.
La seconda parte del manuale si sofferma sulla concettualizzazione storico-filosofica del razzismo partendo dai predetti paradigmi, muovendo dalla maledizione biblica di Cam (citata nel libro della Genesi) e in altri libri “sacri” per arrivare allo “straniero” nella concezione greca e in particolare in Platone e poi in quella romana, fino al primo atto, riconosciuto per legge, del razzismo “di sangue” sancito con il decreto del 31 marzo 1492 da parte di Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia che stabiliva l’espulsione degli ebrei dalla Spagna e stabiliva la “purezza” di sangue (limpieza de sangre, in spagnolo, neteja de sang, in catalano. Una strada senza ritorno che condizionerà molti eventi successivi, dalla scoperta e conquista del Nuovo Mondo (i “selvaggi” indios che non hanno manco “l’anima”) alla deportazione dei neri africani passando anche per celebri opere letterarie ricordate da Ciracì, da Robison Crusoe di Daniel Defoe ai Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift, solo per fare qualche titolo, che riportano stereotipi dell’uomo bianco, occidentale e opulento.
Neanche l’epoca dei Lumi settecentesca è esente da ombre razzistiche anche tra i suoi maggiori esponenti mentre a partire dall’Ottocento fioccano opere pseudoscienfiche di eugenetica, che in Joseph Arthur de Gobieneau trovano il loro combo nel suo Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane (1853-1855) e che faranno da substrato ideologico al razzismo ariano di hitleriana memoria.
Sorprendente in questo libro è la quantità di testi e autori/autrici citati/e, di quelli che, personalmente apprezzo molto e di cui non si sente sovente parlare, da Philipp Mainläender (sul quale Fabio Ciracì ha scritto un bellissimo saggio Verso l’assoluto nulla, Pensa Multimedia, 2006) a Emil Cioran, da Frantz Fanon a Domenico Lo Surdo e l’aver messo a fuoco la questione del razzismo passata al setaccio a tutte le latitudini (femminismo, teologia, musica nera, iperazzismo, multiculturalismo) facendo scoccare quello che fanno solo i grandi libri: la voglia di approfondire (con altri libri).
Non manca un accenno alla nostra, bellissima, Costituzione che all’articolo 3 riporta ancora la parola “razza”, né agli estremismi della cancel culture. Quanto a Trump, di cui si parlava all’inizio, temo che il professor Ciracì dovrà scrivere una seconda edizione con le scorrerie del personaggio; peccato che a differenza dei nazisti dell’Illinois lui non faccia ridere.

Fabio Ciracì, Sul razzismo. Strutture logiche e paradigmi storico-filosofici, Mimesis 2024.